Villa Lubin. L’architettura

Villa Lubin è oggi un esempio paradgmatico dell’ecclettismo del primo Novecento romano, tanto più interessante quanto più integra nel suo insieme e nel rapporto con l’ambiente circostante. Questa villa, infatti, conserva una coerenza unitaria frutto soprattutto della omogeneità culturale di quanti vi lavorarono.

L’edificio di Villa Lubin è relativamente semplice nella articolazione, alleggerito da poche e contenute scansioni volumetriche, compatto ma non pesante, composto da un corpo centrale principale rivestito di travertino nella zona inferiore e nei pilastri terminali, fiancheggiato da due ali leggermente arretrate con zoccolatura e pilastri d’angolo pure in travertino. La parte centrale, più ricca di ornati, è caratterizzata da un portico a tre fornici sorretti da colonne binate di pietra colorata, un motivo ripreso dalle logge aperte al primo piano delle due facciate laterali ad alleggerire la massa muraria.

L’ideatore principale dell’edificio è l’architetto Pompeo Passerini, allievo e collaboratore di Giuseppe Sacconi alla realizzazione del Vittoriano, maestro di Raffaele de Vico, progettista del palazzo del Ministero delle Infrastrutture e del Palazzo delle Ferrovie.

L’architetto marchigiano ebbe un ruolo determinante anche nella progettazione globale della decorazione e nella scelta degli artisti, che fu condotta di comune accordo con il senatore Faina, presidente della Commissione Reale che sovrintendeva ai lavori, e con lo scultore Adolfo Cozza.

Il risultato, unitario al punto da lasciare perplessi sulla attribuzione di un singolo particolare all’uno o all’altro dei diversi artisti che vi lavorarono, costituisce a tutt’oggi la migliore conferma dell’omogeneità del gruppo prescelto. Tra questi artisti citamo Adolfo Cozza, in particolare, scultore e archeologo umbro che aveva eseguito bassorilievi per il Duomo di Orvieto e collaborato con Sacconi per le sculture del Vittoriano, progettò gli affreschi che ornano le pareti laterali del Parlamentino (vedi Villa Lubin. Interni) e il perugino Lemmo Rossi-Scotti che realizza i dipinti in stucco e pittura che ornano i soffitti delle sale di rappresentanza e dello scalone d’onore.

Consapevole dei problemi che la progettazione di questo edificio poneva, dovuti soprattutto al contesto in cui doveva essere inserito, Passerini seppe trovare una risposta adeguata e dignitosa, non inutilmente retorica, in un difficile equilibrio tra neo-barocco e liberty, così felicemente legato alla collocazione naturalistica al punto da non disturbare minimamente l’unità globale dell’ambiente.

Il termine “neo barocco” è definizione che torna spesso nelle valutazioni delle caratteristiche architettoniche di Villa Lubin. Usata spesso in senso riduttivo, essa contiene in realtà il meritato riconoscimento dello sforzo unitario compiuto dall’architetto e dagli altri artisti di adeguarsi al contesto in cui l’edificio doveva sorgere.

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