Targa in memoria di Ciril Kotnik

In via Salaria 76, una targa in pietra fatta venire dalla Slovenia o dalla Carinzia slovena, onora la memoria di Ciril Kotnik (Lubiana 1895 – Roma 1948), il coraggioso diplomatico sloveno che nei giorni bui dell’occupazione tedesca ha tenuto alta la bandiera dell’antifascismo a Roma, salvando ebrei e antifascisti, che nel dopoguerra è riconosciuto come “Giusto” allo Yad Vashem di Gerusalemme.

La targa dice: QUI VISSE LO SLOVENO CIRIL KOTNIK (1895-1948) DIPLOMATICO CHE SALVO’ EBREI E COMBATTENTI PER LA LIBERTA’ FU TORTURATO E MORI’ PER LA SEVIZIE SUBITE DAI NAZIFASCISTI / ROMA CAPITALE AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI SLOVENIA

Lì è l’appartamento dove Ciril Kotnik, al tempo dell’occupazione tedesca, tiene in scacco a lungo la Gestapo fino al momento in cui è arrestato e portato a via Tasso. Carteggi all’ambasciata spiegano cosa sia riuscito a combinare in quegli anni bui il coraggioso diplomatico sloveno. In una lunga lettera all’ambasciatore sloveno del 1944 due connazionali, Milko Buzigar e Janko Kralj, spiegano quante siano state le vite umane salvate allora  da Kotnik, pronto ad offrire alloggio, viveri, denaro a tutti quelli che andavano a bussare alla sua porta, aiutando indifferentemente ufficiali e soldati iugoslavi fuggiti dai campi di prigionia, ebrei in fuga, inglesi, partigiani. “

Ciril Kotnik nasce a Lubiana,  da giovane partecipa alla prima guerra mondiale come volontario nell’esercito serbo e di lì a poco, ammesso nel servizio diplomatico, si trasferisce a Roma dove per oltre due decenni opera nell’ambasciata iugoslava. In seguito all’occupazione e allo smembramento della Iugoslavia si ritrova nel 1941 con l’ambasciata chiusa ma alla fine dell’anno il governo in esilio lo nomina ambasciatore presso la Santa Sede. Ed è in questa veste che Kotnik aiuta antifascisti ed ebrei romani a sfuggire alla repressione nazifascista. Nel 1943 è arrestato e per mesi è tenuto a via Tasso e torturato perché faccia i nomi dei suoi “complici”, ma Kotnik non li farà mai. I tedeschi non esitano neanche a portare la moglie di Kotnik, Maria Tomasetti in una cella attigua dove ascolta i gemiti del marito. Ma anche lei non rivela ciò che sapeva. Fortunatamente le due figlie, Ivanka e Darinka, sono rifugiate in un convento di suore. Kotnik è condannato a morte.

Liberato per intercessione di un prelato vaticano. Con la famiglia si trasferisce all’Aquila dove vive in miseria e, per le sevizie subite, muore nel 1948. Ciril Kotnik e sua moglie Maria sono sepolti nel cimitero della città abruzzese, dove ogni tanto qualcuno va a deporre un fiore sulle loro  tombe. Sua figlia Ivanka sposa nel dopoguerra Vittorio Veltroni, papà di Walter Veltroni, Kotnik quindi è  il nonno materno dell’uomo politico italiano.

A spingere gli sloveni alle loro richieste è anche il rammarico per come la persecuzione fascista del popolo sloveno, concretizzatasi in oltre 30 mila deportati e nella gestione di tre lugubri campi di prigionia ad Arbe, Gonars e Renicci , viene molto spesso dimenticata e non gode di adeguata ricognizione e memoria.

Il testo è tratto da un articolo di Paolo Brogi

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