La storia dell’edificio che oggi conosciamo con il nome di Palazzo Borromeo inizia con Giovan Maria Del Monte, papa Giulio III, che acquista tutti i terreni qui intorno ed erige, in una stretta valle, la sua splendida residenza: Villa Giulia.
Tra le sue realizzazioni la via Julia Nova, attuale via di Villa Giulia, e la grande fontana all’angolo della Flaminia disegnata da Bartolomeo Ammannati. Alla sua morte, il papa lascia tutte queste vaste proprietà ai suoi parenti ma il suo successore papa Paolo IV Carafa confisca tutti i beni degli eredi Del Monte con la motivazione che la loro costruzione era stata finanziata con i denari della Camera Apostolica.
Ma il Carafa non è affatto interessato a utilizzare Villa Giulia che invece piace molto al suo successore papa Pio IV Medici che, pur di disporne a suo piacere, trova un accordo col nipote di Giulio III, Fabiano Del Monte, concedendogli un sostanzioso vitalizio e la Vigna di Porto, cioè i terreni dall’altra parte di via Flaminia fino al fiume.
Risolta la controversia con i Del Monte, Pio IV destina la Villa a residenza per gli ospiti illustri (un secolo dopo qui alloggerà Cristina di Svezia dopo il suo lungo viaggio, prima di entrare a Roma ed essere accolta dal papa), dona la Vigna Alta (quella sul Monte San Valentino, di cui Villa Balestra è oggi solo un pallido ricordo) a Cosimo I de’ Medici, il duca di Firenze con cui aveva un vecchio debito di riconoscenza (fra l’altro lo aveva aiutato nel conclave e gli aveva concesso di utilizzare l’arma medicea con i sei bisanti), e avoca a se la Vigna Bassa, da via Julia Nova a Sant’Andrea sulla via Flaminia e oltre. Il papa infatti ha due amati nipoti, figli della sorella Margherita, che vuole a Roma vicino a se: il conte Federico Borromeo, su cui ripone le sue speranze di elevare il casato dei Medici di Milano, e suo fratello Carlo (1538-1584), il “cardinal nepote” appena ventenne, che vede come proprio erede al soglio di Pietro. Federico è nominato Capitano di Santa Romana Chiesa, la più alta la più alta carica militare dello Stato Pontificio, su Carlo il papa accentra una serie di compiti che fanno di lui il vero padrone dello Stato Pontificio. Ma i due giovani signori milanesi hanno bisogno a Roma di una residenza e il papa chiede al suo architetto, il napoletano Pirro Ligorio, di realizzare una prestigiosa abitazione per loro su questa proprietà.
E’ di Ligorio l’idea di costruire intorno alla grande fontana di Giulio III un edificio con due ali indipendenti, ognuna con il proprio portale, scalone, salone di rappresentanza ed appartamento privato. In comune le due residenze avrebbero avuto il ninfeo del Sansovino retrostante la fontana, trasformato in un piacevolissimo portico con al centro l’antica peschiera, e le nuove stanze sopra la fontana, con le finestre aperte verso San Pietro e la Citta Pia appena realizzata dal papa nell’area adiacente al Vaticano, fuori Porta Angelica (oggi conosciuta con il nome di Borgo).
In particolare, il conte avrebbe avuto il palazzo sulla via Julia Nova verso Villa Giulia, il cardinale quello sulla via Flaminia. La galleria d’ingresso del cardinale, parallela a via Flaminia avrebbe inquadrato la non distante cappella privata di Sant’Andrea a via Flaminia, mentre quella del conte, parallela a via Julia Nova, sarebbe stata centrata sulla prospettiva di Villa Giulia. Sia Sant’Andrea che il piazzale antistante Villa Giulia, inoltre, sarebbero stati raggiungibili percorrendo un viale attraverso il giardino. Ligorio quindi riprende e valorizza il sistema prospettico messo a punto da Giulio III e dai suoi architetti che, con la fontana dell’Acqua Vergine, vogliono spostare verso Villa Giulia l’attenzione del passante che percorre la Flaminia.
Nel 1562, a cantiere ancora aperto, il papa dona l’edificio e i terreno intorno, la Vigna Bassa di papa Giulio, agli amati nipoti. Ma i piani del papa si infrangono presto: quello stesso anno Federico muore (a 27 anni) e Carlo, molto scosso, decide di lasciare la curia romana, dove era potentissimo, prendere gli ordini e trasferirsi nella sua diocesi di Milano e occuparsi alla riforma dell’arcivescovado, e a innumerevoli opere di carità. A questo punto il progetto è bloccato, all’architetto viene chiesto di completare rapidamente le parti ormai in fase avanzata di costruzione e, poco più di un anno dopo nel 1564, il cantiere della “fabrica della vigna” è chiuso, con solo le camere comuni e centrali completate. Il sigillo dei lavori è una lapide, all’esterno del primo piano sopra la fontana, con il nome del papa incorniciato da due sfingi e coronato dallo stemma Medici tra due angeli (il nome di battesimo del papa è Angelo).
Il palazzo, nelle condizioni in cui si trova, passa alla sorella Anna Borromeo che lo porta in dote al marito Fabrizio, figlio di Marcantonio II Colonna, duca di Paliano generale dell’esercito imperiale di Carlo V, gran connestabile del Regno di Napoli (essere duca di Paliano vuol dire controllare la strada tra Roma e Napoli). Il suocero prende possesso del palazzo, richiama Pirro Ligorio (che nel frattempo ha lavorato per lui nel palazzo Colonna a Santi Apostoli) per completare la costruzione. La grande sala centrale del palazzo e il sottostante androne d’ingresso costituiscono un ampliamento non previsto nel progetto iniziale.
Ma anche questo cantiere non arriva a complimento perché Marcantonio ha altro da pensare e deve lasciare Roma. Tra pochi anni, nel 1571, ci sarà la battaglia di Lepanto in cui lui guiderà la flotta di Pio V. E queste due fase di costruzione, per due diversi committenti, a fronte di due esigenze completamente diverse ma entrambe non concluse, spiegano molte delle stranezze dell’edificio. Qualche anno dopo, Filippo Colonna, anche lui duca di Paliano e Gran Connestabile del magnifico Regno di Napoli, imprime la sua firma sulla fontana sulla via Flaminia sostituendo il suo nome a quello di Giulio III e inserisce le armi dei Colonna e le bandiere, ricordo della battaglia di Lepanto, a imperitura gloria della famiglia.
Seguono anni di vicende alterne e un periodo di abbandono dovuto al fatto che questa zona suburbana, annualmente oggetto di piene del Tevere, è malsana e desolata. Nel luglio del 1849, qui, come in tutti gli edifici della zona, si attestano i difensori della Repubblica Romana visto che i Francesi, bloccati sul Gianicolo, tentavano l’aggiramento attraversando ponte Milvio. Qui inotre combatte la retroguardia garibaldina a difesa del grosso delle truppe quando, dopo la sconfitta, il Generale deve ritirarsi verso nord. E anche questo palazzo è pesantemente cannoneggiato dai Francesi.
Di questo palazzo si perde la memoria. Il nome di Palazzo Borromeo infatti sarà deciso solo in seguito quando è diventato ambasciata. Prima non ha un nome univoco: è chiamato, Casino di papa Giulio o Casino del Monte, ma Giulio III del Monte c’entra poco con la sua costruzione, oppure Casino di Pio IV, ma di Casino di Pio IV ce n’è già un altro in Vaticano ben più famoso. Il palazzo inoltre non è preso in considerazione da parte degli esperti di storia dell’arte. Forse per l’aspetto austero, forse per le condizioni in cui si trovava e la scarsezza delle fonti, unite alle stranezze che l’edificio presenta. Nonostante la bellezza della loggia, del portico e degli ambienti infatti, è asimmetrico, cosa non comune nella Roma post medioevale, e incompiuto. La muratura dell’edificio non è intonacata e presenta ancora i fori dei ponteggi di costruzione ed evidenti dentellature di mattoni a testimonianza di aggiunte previste ma non realizzate; il cornicione superiore infine è inutilmente ampio e non ha né fregio né cornice. In compenso, ognuno di loro ha la sua idea sull’autore. Sansovino, Vignola, Ammannati, Peruzzi erano i nomi più “gettonati”.
Nel 1900, i Colonna vendono la loro grande proprietà al cavaliere Giovanni Balestra che fa rimettere a posta l’antica villa del cardinale Poggi sul Monte Parioli, dove va a risiedere, ma non interviene in alcun modo sul questo rudere, peraltro situato in un terreno acquitrinoso e malsano. Il figlio Giuseppe Balestra però studia lo strano edificio ed è proprio lui che lo attribuisce in modo definitivo a Pirro Ligorio.
Dopo pochi anni, in vista dell’Esposizione Universale del 1911 e della conseguente nuova sistemazione urbana in cui nasceranno viale delle Belle Arti e viale Tiziano, i terreni dell’antica Vigna Bassa vengono espropriati e i Balestra vendono questo residuo di proprietà a Ugo Jandolo, famoso antiquario romano, fiduciario a Roma di musei stranieri e ricchi collezionisti stranieri (il barone Maurice von Rothschild, per esempio, era un suo cliente) ma scoppia la prima guerra mondiale e l’edificio è requisito per scopi militari e ulteriormente deturpato. Negli anni ’20, ritornato in possesso della proprietà, Ugo Jandolo inizia sul palazzo un attento studio e lo fa restaurare dai giovani architetti Attilio Spaccarelli ( 1890–1975) e Arnaldo Foschini (1984-1968), lo stesso che realizzerà dopo qualche anno il vicino Palazzo del Notariato e sistemerà le aree adiacenti sulla via Flaminia. In un libricino del 1923 Jandolo racconta i risultati dei suoi studi.
Nel 1929, dopo la firma dei Patti Lateranensi, il palazzo viene acquistato dallo Stato Italiano per farne la nuova Ambasciata presso la Santa Sede. Il primo ambasciatore è Cesare Maria de’ Vecchi, dirigente della prima ora del movimento fascista che partecipa da quadrumviro alla marcia su Roma, anche se non approva questa scelta, e rappresenta all’interno del movimento fascista l’ala monarchica e legalista. E’ lui che sceglie questa residenza cinquecentesca e decide la realizzazione, su progetto dell’architetto Florestano De Fausto, l’ala moderna su via di Villa Giulia.
Negli anni Sessanta, trasformando il salone del piano terra è realizzata la Cappella dedicata a San Carlo Borromeo. Nel 2002 infine è realizzato su progetto di Mario Tonelli l’edificio vetrato della cancelleria.
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- Carlo Borromeo
- Esterni di Palazzo Borromeo
- Giardino di Palazzo Borromeo
- Marcantonio Colonna
- Patti Lateranensi
- Piano terra di Palazzo Borromeo
- Pirro Ligorio
- Primo piano del Palazzo Borromeo
- Stanze di palazzo Borromeo sopra la fontana
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In rete:
Fonte:
Bibliografia essenziale:
- Daria Borghese (a cura di), L’Ambasciata d’Italia presso la Santa sede Palazzo Borromeo ovvero la Palazzina di Pio IV, 2009, Umberto Allemandi & C.
- Pasquale Diana, La più bella Ambasciata; L'arte tipografica, 1969.
- Ugo Iandolo, Il palazzo di Pio IV sulla via Flaminia, Roma, Casa editrice d'arte Bestetti e Tumminelli, 1923 (ristampa del 1989)
- Giacomo Balestra, 1911, La fontana pubblica di Giulio III e il palazzo di Pio IV sulla via Flaminia;, Tip. Capitolina D. Battarelli, 1911.
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