Verso storie e mondi sotterranei
Umberto Eco (1932 – 2016) oltre che grande intellettuale fu anche, sorprendentemente, un appassionato lettore e collezionista di fumetti. A proposito dell’intellettuale “fumettista” Hugo Pratt (1927 – 1995) e del suo personaggio/Alter Ego, Corto Maltese, Eco era solito dire: “Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese”.
Sia Umberto Eco che Hugo Pratt amavano raccontare storie, favole, avventure, entrare e uscire da mondi nascosti confondendo realtà e fantasia, occulto e palese, e tutto questo accadeva attraverso “porte” magiche come le porte della Biblioteca del Monastero Benedettino de Il Nome della Rosa, o le porte segrete citate da Pratt nei due racconti a fumetti di Corto Maltese: Sirat Al Bunduqiyyah e Corte Sconta detta Arcana dove si dice:
Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in Calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al Ponte delle Meravegie; un terzo in Calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie…”.
Certo, non solo Venezia è piena di porte “magiche”: un pò tutte le città del “Mondo Antico” hanno porte misteriose, sacre, occulte, obliterate o magari legate a storie che le rendono impossibili da varcare se non a chi è veramente “iniziato”.
Roma, poi, quanto a “porte” è proprio imbattibile. Infatti, la Città Eterna ha una vera e propria Porta Magica, al centro di Piazza Vittorio, ultima rimasta delle quattro che si aprivano sul muro di cinta della distrutta villa del Marchese Massimiliano Savelli di Palombara, alchimista e filosofo. Ma non solo, a Roma, durante il Giubileo, si aprono, sotto i colpi del martello del Santo Padre, le quattro Porte Sante di San Pietro, San Paolo, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore.
Inoltre ci sono Porte con battenti di bronzo e Posterule Murate nella cinta Aureliana, le possenti Porte del Pantheon fuse al tempo dei romani o strabilianti porte medievali come quelle di Santa Sabina scolpite nel castagno nel IV secolo. Tutti questi varchi hanno storie da raccontare e danno accesso a mondi fantastici. Ci sono infine, prosaiche e anonime porte di ferro, che, sorprendentemente, quando si schiudono rivelano un mondo veramente misterioso e semisconosciuto.
Le “porte di ferro” di cui vi voglio parlare oggi sono state realizzate in anni recenti e certamente non sono artistiche, sembrano spesso delle semplici paratie da cantiere, dietro le quali il passante distratto può credere si celi un magazzino o, magari, i contatori del gas. Queste porte si trovano un po’ in tutta Roma, sono anonime e sono sempre sbarrate da serrature massicce. Lungo via Salaria, però, nel tratto che va da via Po a Ponte Salario, se ne incontrano veramente tante. Ma perché? Cosa si cela dietro queste ante impenetrabili? Ebbene, queste porte danno accesso ad un mondo sotterraneo e magico: il mondo delle Catacombe. Un mondo che non solo è difficile da capire ma che è anche “straniero” in quanto è di proprietà di un altro Stato Sovrano, la Santa Sede.
Succede, infatti, che negli accordi dei Patti Lateranensi, firmati da Mussolini nel 1929 e confermati da Craxi nel 1984, le catacombe cristiane siano competenza esclusiva della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Questo vuol dire che tutte le Catacombe sono proprietà e responsabilità della Santa Sede e che l’accesso a questi cimiteri sotterranei è soggetto all’autorizzazione da parte della Pontificia Commissione.
La rete delle catacombe romane, buia e misteriosa, si estende per un reticolo fitto ed inestricabile di cunicoli e ipogei nascosti, in più livelli, spesso fino a molti metri sotto il suolo, sia dentro le mura di Roma che, soprattutto, lungo le vie consolari, fuori del Centro Storico.
Per diverse ragioni, la via Salaria, forse la più antica strada di Roma, certamente precedente alla fondazione della “Città Eterna”, è stata fin da prima dell’avvento del Cristianesimo, scavata e sforacchiata creando cimiteri pagani, ipogei e infine Catacombe spesso profondissime, piene di scale, saliscendi, pozzi e anditi nascosti.
Nonostante al giorno d’oggi la strada romana per antonomasia sia la via Appia Antica che pullula di tombe romane (e anche di Catacombe), un pò tutte le vie consolari romane che partivano dal Pomerio delle mura Serviane erano punteggiate da tombe, sepolcri, ipogei e catacombe. Nel secondo municipio, ad esempio, oltre a quelle della via Salaria di cui vi voglio parlare ora, ci sono (o c’erano) catacombe collocate sulla Via Flaminia (San Valentino), sulla via Nomentana (Sant’Agnese), sull’antico percorso della Salaria, la cosiddetta “Salaria Vetus” (San Panfilo, Sant’Ermete, ad Clivum Cucumeris ), e lungo queste vie c’erano anche sepolcri romani che sono stati in grandissima parte distrutti o letteralmente obliterati dalle costruzioni che dopo il 1870 hanno cementificio buona parte della “Campagna Romana”. E inoltre, inframezzati a questi luoghi sacri, troviamo fontane, lavacri, luoghi magici e a volte misteriosi, molti dei quali sono protetti da porte impenetrabili.
Però sulla via Salaria i sepolcri e le catacombe sono più fitti, perché? perché il terreno qui è più alto e più asciutto e soprattutto perché sulla via Salaria si trovava il “Sepulcretum Salarium“ che si estendeva fuori delle Mura Serviane lungo l’attuale via XX settembre tra il Ministero dell’Economia e piazza Fiume. Va da se quindi che la Salaria era un luogo di sepolture e poi, in epoca romana, un luogo di Catacombe.
Non bisogna poi dimenticare che fuori Porta Collina, la porta delle mura Serviane che si apriva sul “Collis Quirinalis” grosso modo tra via XX settembre e via Piave, si trovava anche il “Campus Sceleratus”, dove al tempo dei romani venivano sepolti i condannati a morte e le Vestali ree di non aver osservato il voto di castità. La pena per loro era di essere sepolte vive, cioè chiuse vive dentro una tomba per morire di fame e di stenti.
Quest’area, quindi, come, e forse più di altre aree lungo le antiche strade romane (pensiamo alla via Appia o alla via Flaminia) era particolarmente piena di tombe pagane; ne consegue che anche proseguendo sulla via Salaria uscendo da Roma, in epoca cristiana si sono collocati qui molti cimiteri e catacombe che sorgono su terreni che erano di ricchi patrizi che donarono i loro terreni ai cristiani perché ci potessero seppellire i loro morti.
Tutte le “Porte di Ferro” di cui vi sto per parlare quindi, nascondono questi cimiteri, danno accesso a dei mondi segreti. La maggior parte di queste porte resta chiusa ed inaccessibile e, purtroppo, una sola tra tante si apre regolarmente e dà accesso ad una catacomba visitabile senza problemi: varcare le altre soglie è più difficile, anche se non impossibile.
L’Ipogeo di Via Livenza
Ma andiamo con ordine. Procedendo fuori le Mura Aureliane verso il Ponte Salario, la prima porta “di ferro” si trova a metà tra il percorso della via Salaria “Nova” e quello della Salaria “Vetus” in via Livenza, una stradina tra via Tevere e via Po. Non c’è che dire, la prima porta di ferro sembra proprio l’ingresso di un magazzino o di un garage. Mai potremmo pensare di trovarci davanti ad un luogo misterioso e controverso e certamente “magico”.
Quando a fine Ottocento fu distruto il parco di Villa Ludovisi, i picconi raggiunsero i viali dove al tempo di Roma Imperiale sorgevano gli Horti Sallustiani, nei pressi dei resti del tempio di Venere Ericina, vale a dire quasi all’incrocio tra le moderne via Sicilia e via Lucania, venne ritrovato un trittico marmoreo databile al 460-450 a.C. con una misteriosa simbologia. Questa opera, priva di riferimenti simili, ha una forma inconsueta e non permette di stabilire con certezza la sua forma originaria e dunque la sua funzione. Alcuni pensarono facesse parte del trono di una statua colossale forse proprio della Venere Ericina e per questo fu chiamata “Trono Ludovisi”. I bassorilievi che lo adornano raffigurano una giovane che viene immersa o forse sollevata da un bagno lustrale, potrebbe essere anche Afrodite che sorge dal mare mentre sui fianchi del trono, si ammirano una giovane donna ammantata e un’etera nuda che suona un flauto.
Nel 1923, a meno di duecento metri in linea d’aria dal luogo del ritrovamento del “Trono Ludovisi”, quando la città ormai straboccava inesorabile fuori dalle Mura Aureliane, gli scavi per la costruzione di una palazzina tra Via Livenza e via Po,, portarono alla scoperta di un edificio sotterraneo, collegato ad una sorgente sotterranea. L’ipogeo era a pianta allungata: oggi ne rimane solo una piccola parte che però, da sola, può darci un’idea della magia di questo luogo la cui funzione è, anche in questo caso, misteriosa.
La parete che non è stata distrutta dal cantiere e che si può vedere anche oggi, ha tre archi: due laterali piccoli dei quali quello a sinistra ha scala di entrata, mentre l’altro, a destra, portava a stanze oggi perdute. Nell’arco centrale, il più grande, c’è invece, una nicchia con un affresco che rappresenta la dea Diana. In quella nicchia è stata trovata anche una statua femminile e sotto quella nicchia si apre la vasca alimentata dalla sorgente sotterranea. Questa vasca è rettangolare e profonda tre metri, ed aveva un sistema di alimentazione e di scolo delle acque, ma non si sa con certezza a cosa servisse.
Questo strano manufatto è probabilmente stato realizzato nella seconda metà del IV secolo d.C. cioè più o meno, 800 anni dopo il trono Ludovisi ma, anche in questo caso nessun elemento decisivo è emerso per spiegarne la reale funzione. Poiché uno dei due archi più piccoli una volta prendeva luce dall’esterno, si ipotizza che un raggio di sole, in un certo momento del giorno, entrasse dall’esterno e si specchiasse nella vasca con un esito magico a noi sconosciuto. Quindi possiamo solo fare delle ipotesi sulla funzione di questo ipogeo, ipotesi che, comunque, riconducono a riti magici o, perlomeno, esoterici.
Qualcosa si può tuttavia dedurre dalla collocazione “geografica” di questo oggetto: esso sorge vicino ad un antico bivio tra la Salaria “Vetus” ed una strada che la collegava all’attuale via Salaria “Nova”. Inoltre l’orientamento del manufatto è parallelo alla strada e la posizione della nicchia con l’affresco e la statua è indirizzato alla campagna, cioè al mondo rurale. L’ipotesi è che si possa trattare di un luogo dedicato alla Dea Diana che i romani chiamavano anche “Trivia” in quanto era “Una e Trina”. Infatti ai lati della nicchia è raffigurata proprio la dea Diana, che secondo i romani aveva un “triplice” attributo, era cioè una divinità con tre facce: una celeste, la Luna, un’altra terrestre cioè Diana, ed una sotterranea, Proserpina la dea degli inferi. In particolare la figura di Diana sembra dirigersi “in viaggio” verso i boschi che a inizio millennio sorgevano fitti sui colli a nord di Roma.
Siccome però l’ipogeo è stato realizzato nei primi secoli del cristianesimo forse è una costruzione “di passaggio” che testimonia la “trasformazione” dal culto della dea Diana, la dea “Trina” dei pagani, nella Madonna come “Mater Itineris” cioè protettrice dei viaggi dei cristiani che è spesso raffigurata sopra una falce di luna (come lo era Diana) e che, notoriamente, intercede per le anime del Purgatorio. Quindi la Madonna, proprio come come Diana, sarebbe celeste (luna), terrestre (madre) e regina degli inferi (avvocata delle anime). Un’ipotesi piuttosto ardita, certo, ma che, comunque, si basa anche sul fatto che tra la Flaminia e la Salaria la “Mater Itineris” è molto presente.
Il Cimitero di Massimo o Catacomba di Santa Felicita
Poco dopo l'”innesto” del tracciato della Salaria “Nova” nella Salaria “Vetus”, in corrispondenza dell’attuale largo Benedetto Marcello, si trova la prima porta di ferro che dà accesso, questa volta sì (finalmente!) a una Catacomba. Si tratta della Catacomba di Santa Felicita. Il cimiterio in questione, che si sviluppava su tre livelli, è conosciuto anche con il nome di Cimitero di Massimo, quasi certamente il proprietario del terreno nel quale venne scavato. Le sepolture dei cristiani in questo sito iniziarono già nel III secolo. Nel IV secolo il complesso era in piena funzione. Qui fu sepolta Felicita, ricca vedova martirizzata perché convertitasi al cristianesimo, intorno al 162, sotto l’imperatore Antonino Pio. Insieme a lei furono uccise altre sette persone, che un’antica leggenda identificò come suoi figli. Nello stesso cimitero fu sepolto anche San Siliano.
Papa Bonifacio I (418-422) fece erigere una basilica sub divo (fuori terra) per ospitare le spoglie della Santa. Allo stesso periodo risale il trafugamento delle reliquie di Silano, poi recuperate e sistemate all’interno dell’altare di una piccola basilica ipogea costruita proprio per ospitare il santo, nel livello superficiale, il più antico del cimitero, nel punto in cui si trovava la sepoltura originaria. Dell’edificio ipogeo resta l’invaso principale, con due basi di colonna ancora in loco, frammenti marmorei pertinenti all’arredo liturgico e la scala d’accesso.
Agli inizi del IX secolo, sotto papa Leone III (quello che incoronò Carlo Magno imperatore la notte di Natale dell’anno 800), le reliquie di Felicita furono traslate nella chiesa di Santa Susanna, in largo Santa Susanna all’interno delle mura. La Chiesa sorge nei pressi delle Terme di Diocleziano, almeno dal VI secolo. Un tempo, questa chiesa era nota come “ad duas domus”, poiché sorgeva su due case: quelle di Gabino, padre di Susanna, e di Caio, poi diventato Papa e indicato come zio di Susanna. La chiesa fu riedificata nel IX secolo proprio da Leone III e poi nel XV, ad opera di Sisto IV, e alla fine del XVI secolo dal cardinale Rusticucci, protettore dell’ordine cistercense, a cui proprio in quegli anni era stata concessa la chiesa. Ancora oggi, dopo alterne vicende, è retta dalle monache cistercensi. La facciata della chiesa è di Carlo Maderno, e, a riprova dell’importanza della traslazione, sulla facciata compaiono le statue di Santa Susanna e Santa Felicita a fianco del portale, e di Gabino e Caio nell’ordine superiore.
La catacomba seguì così il destino di molte altre strutture paleocristiane, le quali, private delle reliquie, furono abbandonate per essere completamente dimenticate nei secoli. Antonio Bosio (1575-1629), il “Cristoforo Colombo” delle Catacombe Cristiane, vi penetrò ignorandone il nome e credette che Felicita fosse sepolta nel cimitero dei Giordani. Solo all’inizio del 1700 furono scoperte delle scale che scendevano alle gallerie sotterranee, ma le catacombe furono erroneamente identificate da Marcantonio Boldetti come quelle di Priscilla.
Nel 1875 fu scoperta la traccia di un piccolo edificio che con una scala conduceva nei sotterranei e si trassero le prime epigrafi. e solo nel 1883, Giovan Battista de Rossi, con la scoperta di alcune epigrafi e della Basilica sotterranea, identificò il complesso cimiteriale con le catacombe di Santa Felicita, individuando anche la di lei cripta. Tra l’altro, anche qui, sono stati scoperti i resti di un impianto idraulico che probabilmente alimentava una vasca battesimale.
Purtroppo la speculazione edilizia della zona ha danneggiato gravemente il complesso sotterraneo, che oggi si estende solo per circa 200 metri. Nella Catacomba di Santa Felicita si entra tramite una “Porta di Ferro” che si apre in via Simeto n.2, proprio all’inizio del mercato davanti alla banca in Largo Benedetto Marcello. Le catacombe sono aperte solo una volta l’anno, il 23 novembre, giorno in cui si festeggia S. Felicita.
La catacomba è molto profonda ha gallerie articolate su tre livelli, come dice la scritta sulla Porta di Ferro qui è stata originariamente sepolta Santa Felicita assieme ai suoi 7 figli martirizzati con lei. A riprova di questa “presenza” di 7 Martiri, all’interno della Catacomba si trova anche un affresco (fine VII- inizio VIII sec.) raffigurante il Cristo redentore che dona le corone della vita eterna a S. Felicita e ai suoi sette figli. Purtroppo una frana ha danneggiato l’affresco ed oggi ne rimangono solo pochi frammenti.
L’affresco si trova nel primo livello della Catacomba, quello più antico, dove c’è la piccola basilica sotterranea dedicata a San Siliano che, tradizionalmente, si credeva fosse uno dei sette figli. La realtà è un po’ differente: Santa Felicita, fu martirizzata certamente nel 162, e assieme a lei furono martirizzate altre sette persone, ma solo un’antica leggenda trasformò in figli. Ne consegue che Felice, Filippo, Vitale, Marziale, Alessandro, Siliano e Gennaro furono celebrati come figli di Felicita e li ritroveremo un po’ dappertutto qui intorno alla via Salaria, ma in realtà non ci sono prove che fossero tutti figli suoi.
La magia di questa catacomba sta proprio nel suo rapporto con il numero 7 nell’antichità. Il significato magico del 7 è semplice: il numero 7 in magia simboleggia la perfezione in quanto 7 è uguale a 3 + 4 e quindi è formato dall’unione della triade del 3 (che è il simbolo del divino che, notoriamente è Uno e Trino) con la tetrade del 4 (cioè i quattro elementi che costituiscono l’universo e cioè Aria, Acqua, Terra e Fuoco). Il numero 7 quindi indica la pienezza
Cimitero di Trasone in via Yser
Su via Salaria all’incrocio con via Yser (dove c’è la posta) davanti al civico 223 c’è una grossa botola di ferro. Sotto quel tombino si apre la catacomba di Trasone luogo di sepoltura di San Saturnino e di decine di altri martiri. La catacomba è chiamata anche Coemeterium Thrasonis ad s. Saturninum, in memoria, appunto, del principale martire ivi sepolto, i resti della cui basilica nel sopraterra erano ancora visibili alla fine del Cinquecento.
Di questa catacomba, oggi, restano “solo” un centinaio di metri di gallerie percorribili, ma in origine era un cimitero vastissimo e dovrebbe essere scavata di nuovo.
Trasone era un ricco cittadino romano che visse al tempo di Diocleziano e che permise ai cristiani di seppellire nella cava sotterranea che possedeva sulla via Salaria molti martiri. La cava si estendeva in profondità per 5 livelli, cioè per una profondità pari all’altezza del palazzo che ci sta sopra. Nei secoli gran parte di questo cimitero è stato interrato di nuovo, ed è stato anche saccheggiato tra il ‘600 ed il ‘700.
Di San Saturnino la Depositio martyrum, alla data del 29 novembre, ricorda la sepoltura nel cimitero sulla via Salaria. Saturnino era originario di Cartagine, esiliato a Roma durante la persecuzione dell’imperatore Decio (249-251) e morto durante la persecuzione ordinata da Valeriano nel 257-258. Sentite cosa dice il martirologio delle torture subite da San Saturnino: “I santi martiri Saturnino il vecchio, e Sisinio Diacono, sotto il Principe Massimiano furono lungamente straziati in prigione. Per ordine del Prefetto della città furono sospesi sull’eculeo che ne stirava i nervi, furono percossi con bastoni, morsi da scorpioni e straziati con una tenaglia speciale detta “ungula”, quindi bruciati con fiamme, ed infine furono decapitati”.
La catacomba, una delle più profonde di Roma, si estende quasi completamente sotto l’attuale Villa Grazioli ed il suo parco. Dopo l’avvento di Costantino sopra la cava, in superficie, venne costruita una basilica dedicata a San Saturnino, la cui esistenza è attestata dal Liber Pontificalis nella biografia di papa Felice IV (526-530), in cui si afferma che il pontefice la rifece dalle fondamenta; altri restauri furono eseguiti sotto Adriano I (772-795) e Gregorio IV (827-844). Gli antichi itineraria, in particolare la Notitia ecclesiarum urbis Romae (una guida per pellegrini, composta verso la metà del VII secolo. chiamato itinerario di Salisburgo perché scoperto in un codice di Salisburgo, oggi conservato alla biblioteca nazionale di Vienna), parlano anche dell’esistenza di una basilica ipogea, dedicata ai martiri Crisante e Daria. Il De locis sanctis martyrum quae sunt foris civitatis Romae (altro itinerario per pellegrini della fine del VII secolo) riporta la notizia secondo la quale nel cimitero di Trasone erano sepolti 72 martiri. Infine anche il Martyrologium Hieronymianum (del V secolo) indica la sepoltura in Trasone dei santi Crisante e Daria. Però di tutti questi santi non è stata ancora trovata traccia archeologica nella catacomba. In epoca moderna, il primo a scoprire e a penetrare nella catacomba di Trasone fu Antonio Bosio alla fine del XVI secolo: nei resti della basilica di San Saturnino (chiamata ai suoi tempi di santa Citronina) scoprì il passaggio, oggi scomparso, che immetteva nelle gallerie sotterranee. Le stesse scoperte furono fatte nel 1629 dal Torrigio. Come la maggior parte delle catacombe romane, nel corso del XVII-XVIII secolo la nostra catacomba fu devastata dai cosiddetti corpisantari, cercatori di reliquie che penetravano nei cimiteri ipogei per asportare tutto ciò che potevano. I Corpisantari, poi, tentavano di rivendere i corpi spesso malamente ricomposti facendoli passare per reliquie di Martiri a volte con i nomi inventati. La truffa spesso riusciva nei confronti dei cattolici del Nord Europa che in qualche modo tentavano di contrastare il protestantesimo.
Nel secolo scorso, scavi e studi sulla catacomba furono intrapresi a partire dal 1966. Dall’attuale accesso si scende al primo livello della catacomba; il secondo livello corrisponde all’antica cava di arenaria, da cui si scende ai livelli inferiori. Di particolare importanza sono due affreschi, che permettono la datazione delle origini del complesso funerario: uno raffigura l’episodio biblico di Mosè che percuote la roccia per farne scaturire acqua; l’altro raffigura due scene tratte dal libro di Giona: questi affreschi, posti al quarto livello, sono databili alla fine del III secolo o all’inizio del IV secolo. Inoltre al secondo livello, tra le tante epigrafi trovate, ve n’è una, dedicata a Severa, databile al 269 d.C.
La Catacomba, evidentemente disastrata, non solo non è visitabile, ma non è neanche menzionata nell’Archivio Fotografico della Pontificia Commissione di Arte Sacra ( http://www.catacombeditalia.va/content/archeologiasacra/it/archivio-fotografico.html ). Non abbiamo quindi notizie su cosa sia nascosto in realtà sotto la botola di Via Salaria 223. Quello che è certo, è che lì sotto ci sono stati, e probabilmente ci sono ancora centinaia di corpi straziati.
In genere i corpi dei cristiani uccisi dai romani venivano gettati nelle fosse comuni, e solo di alcuni martiri, eccezionalmente, i cristiani riuscirono a recuperare il corpo, spesso ridotto ad un ammasso informe di ossa, riuscendo poi a seppellirlo di nascosto. In pratica i cristiani che non avevano la “fortuna” di essere sbranati vivi dalle belve nel circo erano straziati con ganci, uncini e tenaglie fino a farli morire di tormenti, oppure, quando erano stati torturati, venivano decapitati o uccisi in altro modo. Alle ragazze andava ancora peggio, dopo aver subito violenza, venivano torturate crudelmente. A Santa Lucia strapparono gli occhi, a Sant’Agata tagliarono i seni, Santa Caterina fu fatta passare sotto una ruota dentata, e così via. Tutte queste cose orribili sono descritte nel Martirologio Romano che racconta dettagliatamente come furono torturati i cristiani dai Romani. Se volete avere una visione della varietà dei tormenti inflitti ai martiri, andate a vedere la chiesa di Santo Stefano Rotondo al Celio dove ci sono 34 affreschi con altrettanti “modi” per uccidere i cristiani. “Martirio” in greco antico vuol dire “testimonianza”, e quindi i martiri sono “testimoni” della loro fede cristiana. Per distinguerli dagli altri morti cristiani, i loculi dove erano sepolti i resti dei martiri erano contraddistinti da “simboli” particolari. In genere, accanto al loro nome erano raffigurati la palma, o una tenaglia o un vaso di sangue. La Palma simboleggia la forza della vita davanti alle avversità, infatti la palma sorge e fruttifica alta ed invincibile nel deserto “con i piedi nell’acqua delle oasi e la testa nel fuoco del solleone”. Inoltre la palma è simbolo di trionfo, perché Gesù muore a causa del martirio infertogli e questo accostamento simbolico tra pianta, martirio e resurrezione, è stato favorito dal fatto che l’albero della palma, dopo essere fiorito e aver generato frutti, muore, ma quando sembra proprio morto genera ancora una infiorescenza. Ecco perché il legame con il sacrificio e poi la resurrezione. È per questo che i Santi e le Sante martiri sono raffigurati con una Palma in mano.
Cimitero dei Giordani e di Sant’Ilaria
Molte Catacombe sono state danneggiate nel corso dei secoli, molti cunicoli sono crollati o sono stati riempiti di nuovo, tanto che si continuano a fare scoperte o, meglio, “ri-scoperte”. Una di queste “ri-scoperte” ha riguardato una Catacomba il cui ingresso era conosciuto da molto tempo, ma non era stata interpretata correttamente. Si tratta di un luogo inaccessibile al pubblico ma la cui “porta Magica” potete trovare sulla Salaria, appena superata via Taro sulla destra, dopo il civico 332, tra due palazzine. Lì c’è l’ingresso di questa catacomba molto profonda e molto articolata che si chiama Catacomba dei Giordani ed è stata molto danneggiata fin dalla guerra gotica e poi nei secoli dal medioevo ad oggi. Ad essa è collegata un’altra catacomba in cattive condizioni, quella di Sant’Ilaria che è stata rovinata dai cercatori di reliquie e di lapidi, i Corpisantari, che fino al ‘700 hanno devastato le catacombe creando nuove gallerie e facendo credere che ci fosse un reticolo comune tra tutte le catacombe. In realtà, molte volte, come in questo caso, il collegamento tra le due catacombe è stato “creato” dai Corpisantari.
In base ai ritrovamenti effettuati nel cimitero, si può datare la catacomba tra la seconda metà del III secolo e la prima metà del V secolo: sono infatti state scoperte iscrizioni che riportano le date estreme del 269 e del 436. Essa è chiamata “dei Giordani” dal nome della famiglia proprietaria del terreno in cui fu scavata.
La catacomba fu riportata alla luce nel 1720 dagli archeologici Marcantonio Boldetti e Giovanni Marangoni, ma fu inizialmente scambiata per quella di Trasone. Ancora nel 1873 l’archeologo Giovanni Battista de Rossi vi individuò il cimitero di Priscilla, mentre il gesuita Raffaele Garrucci ribadì l’attribuzione alla catacomba di Trasone. Queste ambiguità riguardo all’identificazione perdurarono fino agli scavi condotti nel 1966 dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, che hanno permesso agli archeologi di identificarla con la catacomba dei Giordani, grazie soprattutto alla scoperta della tomba del martire Alessandro, che molteplici fonti storiche indicavano nel Coemeterio Iordanorum. La causa di tutte queste incertezze sta anche nel fatto che la catacomba è giunta a noi in cattive condizioni, devastata dagli Ostrogoti nell’alto Medioevo e poi dai Corpisantari, e infine dai cercatori di reliquie e dai tombaroli.
Fonti antiche attestano nel Cimitero dei Giordani anche la presenza delle tombe dei martiri Marziale, Vitale oltre ad Alessandro (che la tradizione ritiene siano tre dei sette figli di santa Felicita). La Depositio Martyrum, la più antica tra queste fonti, attesta che la loro sepoltura sulla via Salaria avvenne il 10 luglio. Il Martyrologium Hieronymianum aggiunge, in data 31 dicembre la commemorazione, della sepoltura nel cimitero dei Giordani di un gruppo di sette vergini: Donata, Paolina, Rogata, Dominanda, Serotina, Saturnina e Ilaria (e guardate come ritorna il numero sette!). Infine la Notitia ecclesiarum urbis Romae riferisce che nel sopraterra esisteva una basilica intitolata ai martiri Marziale e Vitale: oggi di questo edificio, ancora visibile ad Antonio Bosio alla fine del XVI secolo, non resta più niente. L’unica conferma archeologica di questi dati riscontrabili nelle fonti letterarie è, come già accennato, la tomba del martire Alessandro.
Nel 1966, dunque, la conferma della scoperta della cripta del martire Alessandro avvenne mettendo insieme in loco un intricato “puzzle” di frammenti di tre lastre marmoree dedicate al santo, le quali, tra l’altro, risalgono a epoche diverse. La prima è quella che papa Damaso I dedicò al martire (IV secolo), scolpita dal suo collaboratore Furio Dionisio Filocalo: questa lastra fu frantumata durante l’assedio dei Goti di Vitige del 537-538 che devastarono questa ed altre Catacombe sulla Salaria. Subito dopo papa Vigilio (500 – 555) ne fece scolpire una seconda in sostituzione di quella damasiana: i frammenti dell’ultimo rigo riportano chiaramente il nome di Alessandro. Infine la terza epigrafe è un voto fatto da un tale Marcello (V secolo), con la dedica al nostro martire. L’iscrizione damasiana definisce Alessandro septimus ex numero fratrum, informazione probabilmente desunta dalla Passio S. Felicitae, che ne fa uno dei figli della martire Felicita.
Il nucleo originario delle catacombe è riconoscibile in un ipogeo con scale che da accesso ad alcune gallerie con cubicoli. Le origini dell’ipogeo, inglobato nel 2° piano della catacomba, sono attribuite alla metà del III sec. d.C. circa.Forse in occasione delle persecuzioni di Decio (250) o di Valeriano (257), il martire Alessandro fu deposto in un loculo sulla parete di un cubicolo. Dall’inizio del IV sec. d.C. alla catacomba venne aggiunto un piano inferiore. Nella seconda metà del IV secolo si verificò una forte espansione del cimitero, con funzioni di retro sanctos (cioè dell’affollarsi delle salme “accanto” ai Santi) attorno alla tomba di Alessandro. Sorsero così altri due piccoli nuclei di tombe ad un livello intermedio tra i due già esistenti e furono creati nuovi cubicoli. La lastra commemorativa che Papa Damaso (366-384), pose sul cubicolo di Alessandro, forse fu accompagnata dal rivestimento delle pareti con lastre marmoree; probabilmente sono da attribuire a questi lavori i resti di colonnine e di mosaici pavimentali rinvenuti nell’ambiente. All’intervento di Damaso si fa risalire anche la costruzione di una nuova scala d’accesso per i fedeli. Come abbiamo già detto, in seguito ai danni subiti durante l’assedio degli Ostrogoti (537-538), l’area cimiteriale fu venne restaurata da Papa Simmaco (498-514) e, successivamente, da Papa Vigilio (537-555).
Oltre al cubicolo del martire Alessandro, nella catacomba merita menzione il cubicolo dell’Esodo, interamente ricoperto di affreschi risalenti al IV secolo, in particolare nella volta con episodi, rari nelle catacombe, tratti dal libro veterotestamentario che dà il nome all’ambiente.
Catacomba anonima di Via Anapo (4-6)
Sotto via Anapo, una traversa di via Salaria, tra due palazzine, quelle ai civici n. 4 e 6 si apre un’altra porta magica, e questa, veramente, potrebbe farvi vedere un mondo molto particolare, però, purtroppo è difficile da visitare, anche perché da questa catacomba non hanno portato via tutti i corpi che vi erano sepolti dentro. Quindi ci sono ancora scheletri, teschi e ossa di cristiani che vi sono stati sepolti almeno 1800 anni fa.
Questa catacomba ha una storia molto particolare, infatti il 13 maggio del 1578 mentre alcuni operai stavano scavando una cava di pozzolana, gli si aprì una voragine sotto i piedi e venne alla luce questa catacomba affrescata e piena di loculi con dentro i relativi cadaveri. A quel tempo le Catacombe erano quasi del tutto sconosciute, di alcune, che si aprivano sotto le basiliche più importanti, se ne conoscevano brevi tratti, ma niente di eccezionale, niente di così lungo e articolato. Questa catacomba qui, invece, si presentò subito come un reticolo molto lungo di corridoi fiancheggiati da loculi, complessi tombali affrescati e vere e proprie cappelle completamente ricoperte di rappresentazioni mistiche. Una vera meraviglia!
Subito i chierici si gettarono alla ricerca dei corpi di nuovi Santi Martiri, ma non ne trovarono. Anzi, trovarono un sacco di scheletri o di mucchi di ossa ma di nessun corpo riescirono ad avere la prova che si trattasse di un Santo Martire. Però, visto che la catacomba era rimasta aperta ed accessibile, ci si infilavano un po’ tutti, sia chierici in cerca di santi che ladri in cerca di tesori.
Il cimitero si compone di una lunga galleria principale da cui si dipartono delle diramazioni secondarie perlopiù caratterizzate da cubicoli e nicchioni, alcuni dei quali interamente affrescati con tematiche desunte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, così da fornire uno spaccato fondamentale sulla produzione pittorica romana nei primi decenni del IV secolo.
Catacomba di Priscilla
Quando la Salaria inizia a scendere verso il Ponte Salario, cioè verso l’Aniene, sulla destra sorge un convento con una torre rossa. Qui sotto, c’è un vero labirinto di 13 chilometri di cunicoli e gallerie, di cui molte affrescate e piene dei simboli dei cristiani della prima ora. Queste sono le Catacombe di Priscilla e prendono il loro nome dalla Matrona Romana che era proprietaria dei terreni dove sorge questo antico “coemeterium” cristiano: Priscilla degli Acilii Glabrioni. In questo cimitero, che potete visitare senza problemi, troverete quasi tutte le raffigurazioni magiche degli antichi cristiani.
Queste catacombe sono talmente belle ed importanti, che il Vaticano (che gestisce tutte le catacombe cristiane di Roma) ha incaricato Google di fare una mappa dei cunicoli visitabili. Così non solo voi non vi perderete perché sarete guidati da una guida e scortati dai Fossori, ma potrete vedere le catacombe anche da casa vostra. Il Tour Virtuale delle catacombe di Priscilla infatti è on-line e se ve le guarderete “prima” di visitarle, quando ci andrete avrete anche voi il “filo” magico per non perdervi.
Fra i martiri sepolti nella Catacomba di Priscilla si ricordano i fratelli Felice e Filippo, che furono martirizzati, probabilmente sotto Diocleziano, assieme alla madre S. Felicita e agli altri cinque fratelli Alessandro, Marziale, Vitale, Silano e Gennaro. Numerosi papi furono anche sepolti qui: Marcellino (296-304), Marcello (308-309), Silvestro (314-335), Liberio (352-366), Siricio (384-399), Celestino (422-432) e Vigilio (537-555).
Nel piano superiore sono dislocati i nuclei più importanti della catacomba. Il cubicolo della Velata è decorato con pitture della seconda metà del III sec. rappresentanti il matrimonio, la maternità e la morte della defunta del cubicolo. Il nicchione della Madonna con il Bambino ed il profeta Balaam (secondo l’identificazione prevalente) che indica una stella, rappresenta la più antica immagine della Madre di Dio in Occidente (230-240).
La regione dell’arenario centrale: una antica cava di pozzolana riutilizzata per collocarvi poveri loculi chiusi da laterizi con semplici iscrizioni dipinte. Il criptoportico con la Cappella Greca è un grande ambiente sotterraneo in muratura, nato come nobile sepolcreto familiare poi messo in collegamento con la catacomba. La Cappella Greca deve la sua importanza ai cicli pittorici di grande antichità che la decorano (seconda metà III sec.).
Nell’ipogeo degli Acili, in origine una cisterna d’acqua, sono state trovate, ed esposte, le iscrizioni degli Acili. Dentro Villa Ada si trova la basilica fatta erigere da papa Silvestro I (San Silvestro) in corrispondenza della tomba di Felice e Filippo. Nell’ambiente adiacente la basilica è stato allestito un Museo che raccoglie centinai di frammenti di sarcofagi rinvenuti nel corso degli scavi nell’area della catacomba.
Quando entrerete dalla Porta Magica su via Salaria, vi troverete in un giardino circondato da pareti nelle quali sono stati murati tanti frammenti di lapidi e sarcofagi. Da questo cortile scenderete attraversando due grosse porte di ferro e farete una scala a chiocciola. Alla fine della scala sarete dentro il cimitero di Priscilla e la guida vi farà vedere la prima immagine della madonna, gli stucchi con l’immagine del Buon Pastore e poi tutti i simboli di cui vi ho parlato. Infine arriverete alla cappella Greca ed al Criptoportico con tutte le cappelle affrescate e la scala che porta su alla basilica di San Silvestro che però non potrete visitare.
Un mondo incantato aperto eccezionalmente il 15 ottobre.
Tuttavia, questi ambienti, seppure ancora pieni di fascino, non hanno nulla a che vedere con l’aspetto che dovevano avere nel secondo o terzo secolo dopo Cristo. A quei tempi l’immagine di questi cimiteri era assolutamente magica, affascinante e rasserenante se non addirittura festosa. Non dimentichiamoci infatti che la morte per i Cristiani, e per “quei Cristiani” in particolare, non è che un sonno in attesa della Resurrezione e della Vita Eterna. Questa era la ragione delle “gioie” che si provavano su quel monte: la gioia della Resurrezione. L’aspetto di questi luoghi era quindi candido e luminoso! Le pareti erano incrostate di lastre di marmo bianco, lucido e splendente, dai lucernari che si aprivano sulla superficie esterna filtrava la luce del sole che all’interno veniva rifratta da mille vetri decorati a foglia d’oro. Dove la luce del sole non arrivava pendevano migliaia di lanterne la cui calda luce era rispecchiata dalle lapidi bianche.
Insomma un aspetto veramente affascinante e sereno che prima i barbari, poi le necessarie traslazioni dei corpi in cimiteri più sicuri interni alle mura, ed infine le spoliazioni dei Corpisantari, hanno trasformato nel desolato ambiente che vediamo oggi, in cui rimangono solo gli affreschi, le raffigurazioni dell’Ultima Cena, le Velate, le immagini della natività, dei Re Magi e dei giardini fioriti. Tutto affascinante e molto bello, ma questo non è nulla a paragone dell’aspetto originario. Né più e né meno dell’aspetto dei ruderi romani a fronte dello splendore della Roma Imperiale.
All’interno del giardino di Villa Savoia, sotto al quale si sviluppano le catacombe di Priscilla, è situata la Basilica di San Silvestro, che è un edificio recente, costruito nel 1907 sulle mura dell’antica basilica medievale. Lì dentro gli archeologi hanno operato la magia di un “grande Puzzle” ricostruendo, pezzetto dopo pezzetto, tante lapidi tombali distrutte dai barbari e dai tombaroli nel corso dei secoli. Questa eccezionale collezione è visitabile solamente in occasione della Giornata delle Catacombe la cui 5^ edizione avrà luogo, quest’anno, sabato prossimo 15 ottobre.
La 5^ Giornata delle Catacombe permette, innanzitutto, di visitare, gratis, le Catacombe più importanti di Roma. Inoltre, alcune catacombe sono aperte solo in questa occasione. Inoltre il sito www.giornatadellecatacombe.it , molto ben fatto, permette di fare una visita nelle catacombe anche senza visitarle di persona. Nel sito troverete dettagli su tutte le catacombe di Roma, la loro storia, un glossario completo dei simboli, ed una descrizione delle catacombe aperte per l’evento.
Buona visita!
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