“Napoleone Bonaparte, la verità storica” di  Carlo De Bac

Leggo, non senza preoccupazione, da più parti, che ieri, 5 maggio 2021, ci si è affrettati a ricordare il bicentenario della morte di Napoleone, celebrato nella letteratura italiana con le famose sestine di Manzoni:  “Ei fu; siccome immobile ecc. ecc.” e quindi nutro il timore che questo avvenga in senso unicamente elogiativo, come si fa abitualmente per un uomo ritenuto grande, ma che, invece, era ed è pieno di ombre: “ai posteri l’ardua sentenza”, appunto. (a destra la prima pagina dell’Ode “il V Maggio” di Alessandro Manzoni).

Indubbiamente Napoleone Bonaparte fu un personaggio importante che ha condizionato gli avvenimenti di circa 20 anni della storia europea alla quale, gli uomini dei suoi eserciti (più che lui stesso di persona) hanno dato un contributo sostanziale nella diffusione degli ideali della Rivoluzione Francese. Il generale córso era certamente dotato di una notevole intelligenza, di indiscutibile carisma e straordinaria attitudine al comando,  più nelle tante guerre che nei fragili e brevi periodi di pace. (a sinistra il famoso dipinto celebrativo di Jacques-Louis David: “Napoleone attraversa il passo del Gran San Bernardo”, olio su tela, 1800, Musée National de Châteaux de Malmaison).

Tuttavia, se ci si riflette, l’uomo in definitiva non è stato altro che un parvenu, un provinciale, ed un narcisista che,  benché fosse relativamente piccolo di statura (1,68 cm.)  e con lineamenti non certo aristocratici, si faceva effigiare come un Adone, anzi, con le fattezze di un Imperatore . Figliol prodigo di una rivoluzione famosa per le professate libertè, egalitè, fraternitè, tradì presto questi principi,  scandalosamente,  per pura bulimia di potere e di conquista. (a destra: Lorenzo Bartolini, Busto di Napoleone I Imperatore, bronzo, 1805 – Parigi, Musée du Louvre, Département des Sculptures cfr.nota 1) 

Per quello che ci riguarda è stato sempre accreditato come difensore della nostra penisola e artefice della creazione del primo “Regno d’Italia” ed europeista. Ma una disanima attenta e documentata del vero significato degli eventi dimostra inoppugnabilmente che siamo di fronte a un opportunista, a un oppressore, a un insaziabile assetato di conquiste, conclusione cui arrivarono più o meno tutti i benpensanti in Europa, dopo un iniziale consenso.

Una corrente di francesi liberi lo ha accusato di disprezzo dei diritti dell’uomo, di schiavismo, di genocidio, di antisemitismo, della morte di milioni di uomini etc.(2).  Per quanto riguarda l’Italia, anzitutto, l’ha sempre considerata terra di conquista pur strombazzando che ne avrebbe favorito l’autonomia e l’unità. Non ci dicono  niente il perverso trattato di Campoformio, costato la fine della gloriosa Repubblica di Venezia, la nomina a re di Roma del figlio ancora infante, l’annessione alla Francia del granducato di Toscana e il giudizio di grandi italiani che lo hanno esecrato e indicato come ingannatore (Foscolo, Alfieri, Leopardi) o ne hanno messo in dubbio la gloria (Manzoni)? (a sinistra: Stampa a colori del 1797 dove si legge “l’invincible eroe concede la pace agli austriaci umiliati” a Campoformio – Collezione Archives Larbor)

Nel nostro paese Bonaparte ha consentito che i suoi armati compissero atti efferati, reprimendo nel sangue sollevazioni contro l’occupazione francese in diverse città, Lodi, Pavia, Verona, Napoli e trafugando eccezionali tesori d’arte, solo in minima parte recuperati (3) basta ricordare solo i cavalli di S.Marco, discesi dall’arco di trionfo  fattosi  erigere a Parigi, a Place de l’Etoile (a destra un esempio per tutti delle spoliazioni, poi restituite : “L’Apollo del Belvedere” dei Musei Vaticani).

Per quanto riguarda l’Europa, è stata la sua politica espansiva a determinare la presa di una coscienza nazionale laddove non esisteva (in Germania proprio l’odio contro Napoleone condurrà i vari stati a federarsi ) o la difesa ad oltranza contro l’occupazione, come accadde in Spagna dove la resistenza fu drammatica e sanguinosa, ricca di episodi di sacrificio, vedi il famoso dipinto di Francisco Goya “3 maggio 1808” nel Museo del Prado a Madrid (foto a sinistra).

Solo per citare le accuse principali, fondate su basi storiche documentate, enumero i fatti più importanti.

Prima il colpo di stato del 18 brumaio dell’anno VIII della Rivoluzione Francese (9 novembre 1799) con la conseguente presa del potere da parte di Napoleone, che, pone fine al Diettorio e, di fatto, cancella la Rivoluzione, istaurando un Consolato fantoccio guidato da lui “Primo Console” e da Sieyès e Ducos come comprimari (a destra il quadro di François Bouchot “Il Colpo di Stato del 18 Brumaio nel Palazzo di Saint-Cloud” – Museo del Louvre).

Poi l’abolizione di ogni minima libertà tramite l’istituzione di un regime capillare di polizia segreta tipo Gestapo (è passata alla storia la crudeltà di Joseph Fouché – a sinistra);

Uno dei metodi più fintamente democratici perpetrati da Napoleone era poi il ricorso ad elezioni con liste precostituite e a suffragio controllato, il cui voto veniva espresso alla presenza di tutti con un tratto di penna, obbligatoriamente sul “sì”: si tratta del “Plebiscito” che, pur essendo una consultazione popolare (il “plebis scitum” del Diritto Romano) apparentemente rivoluzionaria, era in realtà una costrizione. Nel 1802, infatti, Napoleone, attraverso un Plebiscito, propone la trasformazione della carica di “Primo Console” in “Console a vita”: ci furono 3.500.000 “sì” e solo 8.300 “no”. Con questo atto, in realtà, fece entrare in vigore una nuova Costituzione che annullava gli organi legislativi, lasciando il potere unicamente al Console, arrogandosi anche il diritto di nominare il suo successore. Tale Plebiscito fu organizzato dalla polizia di Joseph Fouché, che obbligò il popolo alla partecipazione per sancire un fatto compiuto: la fine dell’esperienza repubblicana. Questo “appel au peuple” fu un modo per servirsi del popolo come necessaria (in realtà apparente) fonte di potere, creando una “dittatura democratica”,  cioè una vera contraddizione in termini. Un metodo politico esteriormente democratico usato per approvare decisioni già prese. (a destra Georges Rouget: Napoleone riceve a Saint-Cloud il Senato-Consulto che lo proclama imperatore dei Francesi , il 18 maggio 1804 – Versailles, Musée de l’Histoire de France

Le efferatezze culminano il 15 marzo 1804 con il rapimento in terra tedesca di un presunto pretendente al trono di Francia, il Duca di Enghien, giovane mite e inoffensivo sottratto alla moglie e ai figli da 200 dragoni e con la sua fucilazione immediata (il 21 marzo 1804) dopo un processo-farsa (4), brutalità contro la quale  tutta l’Europa insorse indignata, anche perché la salma non era stata restituita alla famiglia (a sinistra la fucilazione in piena notte del Duca d’Enghien nel fossato di Vincennes).

E’ così che, dopo aver eliminato gli oppositori con l’aiuto di Fouché, con un altro finto Plebiscito, Napoleone si autoproclama “Imperatore dei Francesi”, ed il 2 dicembre del 1804, inscena un’incoronazione gabellata come “data da Dio” alla quale Papa Pio VII assiste come prigioniero di fatto. Una cerimonia messa in atto, malgrado il suo passato da repubblicano convinto ed il suo avallo al regicidio di Luigi XVI. In quell’occasione Napoleone si auto-incoronò e quindi incoronò imperatrice sua moglie Giuseppina di Beauharnais  (a destra Jacques-Louis David: “L’incoronazione di Napoleone” – Parigi – Musée du Louvre).

Un anno dopo, il 26 maggio 1805, nel Duomo di Milano, ancora una volta, Napoleone si pone da solo sul capo la corona ferrea, esclamando: “Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca”. (a sinistra Napoleone con il “Gran Costume da Re d’Italia” con la corona ferrea in testa)

Del resto Bonaparte aveva già dissolto gli ideali della rivoluzione nel 1802 affogando nel sangue la Rivoluzione Haitiana, ripristinando nelle Antille la schiavitù abolita durante la rivoluzione francese, con l’invio di un corpo di spedizione a Santo Domingo, che si era resa indipendente, riconquistandola (a destra un ritratto di Toussaint Louverture [1743 – 1803] artefice della Rivoluzione Haitiana).  metodi criminali usati da questo contingente militare furono ammessi dallo stesso comandante francese: deportazione e uccisione in massa dei sudditi di Santo Domingo, brutali nefandezze come il divieto di matrimoni misti in Francia, la creazione delle «liste dei negri», finalizzate alla loro espulsione dal territorio transalpino, fino all’uso dei gas sui battelli scannatoio per eliminare i rivoltosi delle Antille e il ricorso ai cani per sbranare gli schiavi fuggiaschi. Bonaparte schiavizza così 250 mila francesi d’oltremare, massacrandone decine di migliaia, creando campi di concentramento in Corsica dove periscono torme di neri, applica così una legislazione razziale che sbiadisce nell’orrore i meriti del Codice Napoleonico (5).

Napoleone, inoltre, nonostante inizialmente abbia liberalizzato il culto israelitico (30 maggio 1806 vedi immagine a sinistra), in seguito a causa delle rivolte antisemite nel 1806 in Alsazia, finisce con il promulgare leggi antisemite. Poco a poco le comunità israelitiche dell’impero vengono così costrette da tutta una serie di decreti a limitare pesantemente l’attività civile e commerciale delle enclaves ebraiche, rinnegando, anche in questo caso, la parità di diritti sancita dalla rivoluzione. In particolare il l 17 marzo del 1808 l’Imperatore  emana ben tre decreti; i primi due riguardano l’organizzazione del culto e le istituzioni, confermando quelle già esistenti, mentre il terzo, passato alla storia come “decreto infame”, riprisina la discriminazione degli ebrei francesi così come era già esistita nella società dell’Ancien Régime.

Infine, in spregio dell’autodeterminazione dei popoli, Napoleone, poco a poco, sostituisce i regnanti di molti stati europei con componenti la famiglia Bonaparte (il fratello Giuseppe in Spagna, la sorella Carolina con Gioacchino Murat a Napoli, e poi Luigi in Olanda, Gerolamo in Westfalia, l’altra sorella, Elisa, a Lucca ).

La sua maggiore responsabilità riguarda però il sacrificio di circa due milioni di uomini mandati al macello per assicurarsi a tutti i costi vittorie, mai definitive, nelle numerose battaglie provocate in Europa dal suo disegno di asservirne gli stati (aveva grande carisma sui combattenti tanto che nel proclama prima di Austerlitz si permise di dichiarare arrogantemente: “soldati, vi chiedo la vita, dovete darmela”).

Il massimo del suo credersi al di sopra di tutto e di tutti fu rappresentato dalla campagna di Russia, promossa perché lo zar non aveva dato risposta a sue proposte di accordo, il che costituiva un’offesa grave alla sua narcisistica alterigia. Organizzò una spedizione di quasi un milione di uomini che come è noto si tradusse in una memorabile disfatta costata la perdita della gran parte di essi, infatti solo circa 50.000 uomini riuscirono a salvare la pelle e a ritornare indietro (a sinistra Adolph Northen: La ritirata di Napoleone da Mosca).

Questo esito fu paradossalmente un vantaggio per la pace dato che determinò la progressiva caduta e l’esilio a Sant’Elena del sedicente imperatore. Di fronte a questi, che possono essere considerati delitti contro l’umanità, hanno poco rilievo alcune sue iniziative civili come la promozione dell’egittologia come scienza che portò, anni dopo la sua caduta, alla decifrazione dei geroglifici, la promozione (non la compilazione) del cosiddetto Codice Napoleonico e l’istituzione del museo del Louvre (a destra una litografia inglese che ritrae Napoleone che esamina reperti archeologici dell’Antico Egitto).

Sembrerà esagerato ma da alcuni, per molti aspetti, è stato paragonato ad Hitler. I francesi gli devono il possesso di opere d’arte di grandissimo valore (per cui è ancora osannato dai più retrivi) ed un insieme di strade intestate ai luoghi delle sue performances militari, esclusi naturalmente Lipsia e Waterloo. Il detto “avere una Waterloo” ha assunto dappertutto il significato di fine di una ingloriosa avventura. Non ridimensionare o addirittura esaltare le gesta e l’epopea di Napoleone Bonaparte, anche se è giusto ricordarle come appartenenti a un periodo importante della storia, ha, in questa fase di acquisizione di una cultura democratica e pacifista da parte del mondo civile, un sapore amaro di arretratezza e di distorsione della verità. Le persone avvedute non devono valutare, in un personaggio che governa, le capacità di condottiero, ma quelle di portatore di pace e di prosperità. (a sinistra: uno degli ultimi ritratti di Napoleone a Sant’Elena).

Benché avesse nominato suo figlio Napoleone Francesco (1811 – 1832), “Re di Roma”, né lo sfortunato principe, né il suo celebre padre riuscirono mai a vedere Roma. E non riuscì a visitare Roma neanche l’Imperatrice Maria Luisa, per la quale Bonaparte aveva fatto modificare e ridecorare un’intera ala del Palazzo del Quirinale allo strabiliante costo di “un milione di franchi oro” (qualcosa come 20 milioni di euro attuali), tutti prelevati dal bilancio del “Dipartimento di Roma”, una ulteriore spoliazione a danno dell’Italia (nella foto a destra un particolare della decorazione a foglia d’oro del “Salottino Napoleonico” al Quirinale).

Tuttavia il dominio Napoleonico ebbe su Roma un’influsso notevole, regalando alla città, e in particolare proprio al territorio oggi coperto dal Municipio II, una serie di monumenti di notevole rilievo artistico, estetico ed urbanistico, realizzati da un gruppo di architetti “neoclassici” influenzati dalla nuova moda “egizia”, da Giuseppe Valadier (1762 – 1839)  a Luigi Canina (1795 – 1856), dai Camporese: Giulio (1754 – 1840)  e Pietro jr. (1792 – 1873) ad Antonio Asprucci (1723 – 1808) fino a Antonio Sarti (1797 – 1880) e Virginio Bracci (1738 – 1815), tutti condizionati dall’arte di Antonio Canova (1757 – 1822) che, con i suoi celebri capolavori (a sinistra Paolina Borghese) ha svolto un ruolo guida nell’estetica di quegli anni (6).

Due sono i personaggi che, pur molto diversi tra loro per rango, ruolo ed obiettivi, hanno contribuito all’immagine Napoleonica di Roma: il Prefetto Camille Marcellin, conte di Tournon-Simiane (1778 – 1833) (foto a destra) Don Camillo Borghese, duca di Guastalla, principe di Sulmona e di Rossano (1775 – 1832), marito di Paolina Bonaparte e quindi cognato di Napoleone (foto a sinistra).

Come se non fossero bastate le spoliazioni perpetrate dai francesi nei confronti dei beni artistici italiani e romani in particolare (i generali bonapartisti meditavano addirittura di smontare e portare a Parigi la Colonna Traiana), Camillo Borghese nel 1807, vendette allo stato Francese 344 marmi antichi della sua famosa collezione Borghese. Si tratta di 154 statue, 160 busti e 170 bassorilievi che ora formano il nucleo della collezione di scultura antica del Louvre: “una incancellabile vergogna” come ebbe a dire Antonio Canova, nel 1810, a Napoleone in persona. Tuttavia non è del tutto vero che il principe si era fatto pagare un prezzo inferiore al dovuto: l’intera collezione Borghese di 695 pezzi tra statue, vasi e rilievi era stata stimata dall’illustre erudito e archeologo Ennio Quirino Visconti, (1751 – 1818), una cifra pari a tredici milioni di franchi oro, mentre lo stato francese pagò per i 344 pezzi circa 9 milioni.

E’ vero, però, che i marmi ora al Louvre sono straordinari, e soprattutto è vero che parte dei bassorilievi adornavano le facciate del Casino della villa che ora ne risulta completamente privo, con un aspetto totalmente differente dall’originale (a destra: Giuseppe Vasi Villa, e Casino Borghese detta Pinciana, 1747-1801
Litografia)

Con il ricavato della vendita i Borghese non solo restaurarono il Casino della villa, ma rimpinguarono le finanze di famiglia salvandosi dalla bancarotta che in quegli anni travolse molte illustri famiglie romane. Inoltre Camillo, nel far restaurare e ridecorare con grande sfarzo le sale della Villa, fece ritrarre la sua consorte Paolina come “Venere Vincitrice” dal grande scultore Antonio Canova (1757 – 1822).

Camillo, inoltre, ampliò il parco della villa con nuove acquisizioni e fece anche realizzare da Luigi Canina i Propilei Neoclassici su piazzale Flaminio e praticamente tutte le decorazioni neoclassiche che adornano la villa (foto a sinistra).

Tuttavia, l’immagine della città eterna fuori porta del Popolo, fu condizionata dal  progetto dei “Giardins Napoleon” che avrebbero dovuto occupare l’intera ansa del Tevere lungo la via Flaminia fino a Ponte Milvio. Questo grandioso “ingresso” dalla via Francigena fu commissionato dal Prefetto Camillo de Tournon per celebrare la visita (vanamente attesa) di Napoleone.

Il raddoppio di via Flaminia (viale Tiziano) ed il sistema di viali alberati ora occupati dai palazzi tra viale Pinturicchio e viale del Vignola, ha praticamente condizionato tutto il territorio lungo dell’ansa del Tevere, abbellito dai progetti di Giuseppe Valadier, tra piazza del Popolo e Ponte Milvio, rappresentati dal Casino di Villa Poniatowski, dalla Casina Vagnuzzi, e dal Tridente est-ovest che si irraggia attualmente dal Ponte della Musica (a destra: G. Camporese, Raffaele Stern, G. Palazzi, Progetto urbanistico per l’area flaminia tra Ponte Milvio e Piazza del Popolo, acquerello su carta, Museo di Roma)

La Roma napoleonica, brutalmente spogliata dai generali di Bonaparte, ricevette quindi una prima ventata di modernità, che svegliò l’estetica papalina ingessata e conformista, e fece sì che si concretizzassero  alcune architetture realizzate nel cuore del Municipio II condizionandone l’immagine (a sinistra Giuseppe Valadier : Villa Poniatowski)

Note:

(1) ora in mostra ai Mercati Traianei nella mostra “Napoleone ed il Mito di Roma” fino al 30/05/2021 http://www.mercatiditraiano.it/it/mostra-evento/napoleone-e-l-archeologia
(2) vedi ad es. Roger Caratini: ”Napoleon, une imposture”, Edizioni Archipoche, 2002. Conviene riportarne il sottotitolo: “Disprezzo dei diritti dell’uomo, schiavismo, genocidio, decreti contro gli ebrei, milioni di morti… E quest’uomo è divenuto un mito!”)
(3) Per avere un’idea delle spoliazioni, dell’entità dei danni e del numero di capolavori non rientrati in Italia si veda https://it.wikipedia.org/wiki/Furti_napoleonici 
(4) vedi F. De Baudus, Le sang du prince, Ed. Rocher, 2002
(5) Claude Ribbe “Le crime de Napoléon” Paris 2005; Yves Benot “La démence coloniale sous Napoléon” Paris 2007; Thierry Lentz e Pierre Branda: “Napoléon, l’esclavage et les colonies” Paris 2006
(6) Attilio Lapadula: “Roma e la regione nell’epoca napoleonica. Contributo alla Storia urbanistica della città e del territorio”, I.E.P.I., Roma 1969

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