“Goethe e Roma: le affinità elettive” di Carlo De Bac

RACCONTO DEL FLANEUR pubblicato il 23 maggio 2023

Attraversando a piedi villa Borghese da Porta Pinciana, prima della piazzale delle Canestre sul lato destro, ci si trova di fronte a un grande monumento raffigurante un giovane uomo dall’espressione radiosa di chi sta vivendo un momento sublime.  E’ in abito settecentesco e ha in mano ha un taccuino.  Ai suoi piedi giacciono alcuni dei suoi personaggi più famosi, scolpiti, a dire il vero, in modo esageratamente convenzionale. 

Siamo di fronte al monumento a Johann Wolfgang Goethe, dono del Kaiser Guglielmo II di Germania alla città di Roma.

Il grande scrittore tedesco aveva soggiornato a Roma per quasi due anni (dal 1786 al 1788) e aveva raccontato la sua esperienza nel famoso “Italienische Reise” (Viaggio in Italia), un fantastico diario di viaggio ante litteram, ricostruito in base a una fitta corrispondenza tenuta con gli amici e una sua nutrita serie di appunti.

Le pagine di questo “Viaggio in Italia” rappresentano una testimonianza preziosa della vita romana dell’epoca e dello stato in cui viene tenuto l’immenso patrimonio artistico della città, il tutto vissuto con tale immedesimazione da offrirci una straordinaria collezione di luoghi e personaggi, ma anche di sensazioni.  E quello che aggiunge interesse e validità all’opera è dovuto alla semplicità, alla chiarezza e alla bellezza del testo.  E’ un Goethe vivo, trasparente, che si muove incessantemente guidato da una “frenesia felice” di vedere, osservare, giudicare, senza quell’impronta razionale che ha reso problematica l’interpretazione delle sue opere più famose.  Un Goethe che entra in un rapporto di intensa armonia con se stesso, che si sente realizzato, sereno, come mai era stato, che estrae dalle giornate romane avventure che non aveva mai vissuto: la visita alle bellezze dell’antichità e del rinascimento, la partecipazione alle abitudini locali, al Carnevale romano per esempio, e soprattutto l’iniziazione all’amore fisico e alla sensualità.

Tutte queste opportunità gli regalano emozioni e piaceri che fanno da soggetto alle “Elegie Romane”, composizioni poetiche, composte tra il 1788 e il 1790 di ritorno dal suo viaggio in Italia, in cui rievoca il suo soggiorno romano appena trascorso, ispirandosi alle elegie d’amore dei poeti dell’età classica, come Catullo, Ovidio, Properzio e Tibullo.  In questa opera rifulgono sia il letterato, pittore, scienziato, capace di vedere e sentire, che l’uomo, convinto partecipe dei comportamenti mediterranei.

Altro tempo dedica alla stesura di opere drammatiche: “Ifigenia in Tauride”, “Torquato Tasso”, “Egmont”, ma non “Faust” e “Wilhelm Meister”, i cui protagonisti sono ai piedi del monumento di viale San Paolo del Brasile in tre gruppi scultorei.

Il diario è contrassegnato da un continuo stato di celebrazione per la grandiosità di ciò che visita, il Palatino, il Foro Romano, il Pantheon, gli Acquedotti, e per la magnificenza di San Pietro, della Cappella Sistina, delle Logge di Raffaello, di tante altre opere d’arte, anche se il poeta s’indigna per il degrado e la profanazione sistematica delle vestigia antiche.  I giudizi espressi sono il frutto di un’acuta sensibilità, condizionati spesso da una convinzione interiore di incapacità a contenere l’ammirazione per quelle forme e quei capolavori.  Ha anche imparato dall’amico pittore Tischbein la tecnica dell’acquarello e si diletta a ritrarre bellezze, luoghi, panorami, trasferendovi ogni volta il suo stato d’animo.

Verso la fine del soggiorno Goethe ha occasione di assistere al Carnevale Romano dalla sua finestra sul Corso e ne descrive mirabilmente l’esaltazione collettiva, dalla corsa dei cavalli, dalle intemperanze e dalle licenze dei partecipanti, alle gesta di occasionali protagonisti e infine alla tristezza del ritorno alla banalità di tutti i giorni.  Per quanto riguarda la vita sentimentale, poco o niente trapela, salvo un suo interessamento a una ragazza milanese, però già promessa e quindi subito interrotto.  Non c’è invece ragione plausibile riguardo al silenzio sul suo rapporto stabile con la figlia di un oste, una certa Faustina, protagonista un tantino scabrosa di alcune delle “Roman Elegie”, poesie in versi classici dedicati alle esperienze romane.  Ella sembra abbia rappresentato la prima donna con la quale Goethe ormai trentasettenne abbia avuto una relazione sessuale, non disgiunta però da una certa identità d’interessi intellettuali, molto rimpianta al momento del suo ritorno in Germania.

Goethe si era all’inizio infervorato dei riti cattolici, delle messe cantate, dello zelo degli officianti e soprattutto della figura simbolica del Papa, salvo a riguadagnare in pieno la sua fede protestante una volta sorpreso il Pontefice in atteggiamenti non degni del suo ruolo.  Si dedica anche a lunghe passeggiate nei luoghi preferiti per godere dell’amenità dell’ambiente. Il suo tragitto abituale lo porta a Villa Borghese, lungo i viali dei pini, vi si ferma a lungo a meditare e a scrivere e la presenza del monumento ne rende testimonianza.  All’aria aperta riesce a concentrarsi favorito dalla privacy raggiunta e pervaso com’è da una felicità tutta nuova provata nell’estate italiana.  La sua Ifigenia vi ha trovato l’ispirazione per essere tradotta in versi.  Lo stesso dicasi per l’Egmont, dramma storico per una libertà difesa fino al sacrificio della vita (Beethoven ne ricaverà una partitura) e il Torquato Tasso, rappresentazione di un grande poeta oscurato dai conflitti interiori.

Altra mèta frequente è rappresentata dall’allora famosa sorgente cosiddetta dell’Acqua Acetosa, ritenuta quasi miracolosa per molti malanni, anche se non sono mai esistiti dati sulla sua effettiva azione.  Ne era stata ricavata una fontana, sulla cui sistemazione muraria erano più volte intervenuti diversi papi, anch’essi convinti fruitori dei benefici dell’acqua.  Il poeta compie spesso il lungo cammino uscendo da piazza del Popolo e percorrendo un tratto di via Flaminia e poi di aperta campagna nei pressi del Tevere, si ferma a bere e a godere della bellezza del sito. Vale la pena ricordare anche la frequentazione del Caffè Greco in via dei Condotti dove incontra l’entourage dei connazionali e di una casa in via Sistina abitata da una sua amica pittrice, Angelica Kaufmann che soleva tenere anche una specie di salotto letterario.  Infine ama ogni tanto visitare i Castelli romani, prediletti per il clima e i facili contatti con la gente, dove trova divertente sostare nei luoghi di ritrovo e avvicinare i paesani.

In conclusione il “Viaggio in Italia” delinea con grande acume il passato e il presente di tanti luoghi ma l’aspetto che colpisce di più è la descrizione esatta e palpitante dell’italiano di allora che non si discosta gran che da quello di oggi per il malcostume, la sciatteria, la nessuna tendenza al godimento dell’arte che lo circonda.  E’ evidente che nella produzione letteraria di Goethe il diario rappresenti un’evasione, di fronte a capolavori come Werther, Faust, le Affinità elettive ma al di là del nostro interesse per l’argomento che ci riguarda, la trattazione è brillante, sapiente, accattivante.  Il poeta mostra di godere il suo soggiorno con slancio e beatitudine, si dichiara innamorato dell’Italia in quanto depositaria di valori unici e di una cultura indispensabile per la completa realizzazione dell’identità di un artista.

Carlo de Bac

(1)”La missione teatrale di Wilhelm Meister” è un frammento di un romanzo teatrale di Johann Wolfgang von Goethe, composto tra il 1777 e il 1785.  Noto anche come “Urmeister”, è stato utilizzato da Goethe nel romanzo di formazione “Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister”.  Una parte del romanzo fu trovata nel 1910 e stampata per la prima volta nel 1911.

(2) Celebri versi della cosiddetta Canzone dell’Italia, che Mignon canta nel quarto libro del romanzo: «Conosci il paese dove fioriscono i limoni, / tra scure foglie le arance d’oro risplendono…?» evocando il Sud romantico, sensuale e di rinomata bellezza.

(3) “Ifigenia in Tauride” è una tragedia di Euripide la cui prima rappresentazione fu pochi anni prima del  400 a.C..

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