25 aprile 2021 Commemorazione di Saverio Tunetti, trucidato dai nazisti a La Storta il 4 giugno 1944 di Giorgio Panizzi, Davanti alla lapide per Saverio Tunetti in viale del Vignola.
Oggi è la Festa della Liberazione e dobbiamo viverla contenti non solo perché è una bella giornata ma perché come tante altre ricorrenze, in Italia come nel mondo intero, sono un’occasione di scambio di auguri, di affermazione di benessere, di pausa dalle occupazioni quotidiane e faticose.
Si festeggia. Anche se spesso si dimentica l’origine di quella ricorrenza. Ma il solo richiamo simbolico fa sentire tutti più uniti anche se talvolta si dissente sulla natura storica della data. Oggi noi siamo contenti di festeggiare il 25 aprile perché è sinonimo di libertà che non si basa su antiche contrapposizioni ma si certifica sul risultato. L’Italia è libera e i valori universali della libertà sono tuttora affermati e validi per tutti. Quel 25 aprile del 1945 tutti erano contenti. E noi oggi qui ne rievochiamo le ragioni.
La guerra, almeno in Italia, era finita, i tedeschi che occupavano le città, che intimorivano tutti i cittadini, che terrorizzavano e trucidavano erano stati cacciati via. I fascisti, arroganti, non comandavano più. Si poteva sperare, si poteva ricominciare. Il giorno dopo i giornali avrebbero celebrato con tanti titoli e tante fotografie questa festa.
È vero che gran parte dell’Italia, dalla Sicilia alla Toscana era già stata liberata o si era liberata. A Roma gli americani, liberatori, erano arrivati il 4 giugno e ci fu una grande festa. Già nei giorni precedenti i tedeschi non facevano più paura. La gente ricominciava a camminare per strada e i ragazzi, i giovani anche se sempre temerari, si radunavano, forse per chiedersi cosa fare, in quei giorni e dopo.
Io abitavo in via Guido Reni, al nono piano, e da un balcone che faceva angolo e guardava quello che è oggi il mercato rionale – e che allora era un ‘orto di guerra’ – curiosavo per vedere i movimenti là sotto. Vedevo due ragazzi che giocavano a tennis.
Poi, nel pomeriggio del 3 giugno, cominciarono a passare carri armati, camion e camionette pieni fino all’inverosimile di soldati tedeschi. I giovani e i ragazzi erano radunati vicino all’orto, vicino a quello che forse allora era un bar e intorno alla fontanella, al nasone, che c’è ancora, per coprirla. Forse per evitare che i tedeschi lo vedessero e prendessero l’acqua. Mi fratello e io tagliammo un giornale a foglietti e li buttammo giù dal nono piano. Subito i ragazzi del bar accorsero a raccoglierli credendo che fossero volantini ma poi, visto lo scherzo, inveirono contro di noi.
La mattina presto del 4 giugno mi svegliai perché sentivo la fanfara dei bersaglieri. Ero molto sensibile alla musica delle bande. Chiamai mio padre che capì subito. Ci vestimmo e andammo verso piazza del Popolo e poi al Corso. Era un tripudio. Per terra c’era di tutto, scatolette vuote, cartoni, bottiglie. Passavano camion pieni di gente festosa e di bandiere. Passavano gli americani su delle strane macchinette e buttavano cioccolate e sfilatini di pane. Un pane strano, bianchissimo, elastico, dicevano che fosse fatto con la farina di cocco, ma era pane e si divorava dopo la fame di quei giorni, di quei mesi. Buttarono anche dei dolci strani che si masticavano ma non andavano mai giù. Erano le gomme americane, io e mi fratello, ignari, le inghiottimmo. Eravamo contenti. Mio padre avrebbe ricominciato a cercare lavoro senza paura di uscire. Aveva 37 anni.
Dopo la festa vennero le cattive notizie. Il dolore. Di molte stragi compiute dai tedeschi e dai fascisti se ne seppe addirittura dopo tanto tempo. Dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, avvenuto nell’agosto del 1944, se n’è saputo solo nel 1994.
Venne la notizia di La Storta dove erano stati ammazzati 14 antifascisti e lasciati in un campo. I tedeschi in fuga da Roma si erano portati dietro un carico prezioso, una merce di scambio per il loro tornaconto, 14 prigionieri antifascisti ‘di rango’. Prelevati a Via Tasso. Responsabili delle formazioni partigiane di Roma. Il camion con cui vengono trascinati in catene è costretto a fermarsi a La Storta. I tedeschi però non si fermano. Fanno il loro bottino a La Storta. Il bottino consiste nel rubare e stuprare. Caricano il bottino sul camion ma su questo non c’è più posto per gli italiani. Allora li ammazzano con un colpo alla nuca. Uno a uno. E fuggono. Era il 4 giugno 1944. Tra questi c’era Saverio Tunetti che ricordiamo oggi davanti a questa lapide che ne ricorda il sacrificio.
Chi era Saverio Tunetti? (1). Saverio Tunetti, detto Nardo, aveva 10 anni quando il fascismo cominciò a spadroneggiare e a dettare legge in Italia. L’educazione cui erano sottoposti i giovani di allora non era per la libertà ma per credere e obbedire e, appena possibile, combattere. Tunetti studia come tutti quelli che studiano. Sicuramente fa parte di quella Gioventù del Littorio pronta a innestare baionette e combattere per spadroneggiare sul mondo.
Fa il maestro elementare ma si accorge della libertà che esprimono naturalmente i bambini. Placido, il fratello, mi raccontava di questo bravo maestro che lasciava liberi i bambini di giocare come volevano e più giocavano liberi e più imparavano e tutti volevano bene a quel maestro. Bravo. Con la guerra Saverio diventa tenente e lo mandano a Roma per un incarico importante al Ministero della Marina. Qua vicino.
L’8 settembre del 1943 non torna a casa. Capisce il senso della storia. Capisce che la libertà data ai suoi alunni è una libertà che tutti devono avere ma che bisogna conquistare. Riesce a liberare alcune centinaia di giovani soldati americani. Gli danno l’incarico di organizzare i partigiani nei dintorni di Roma.
Viene individuato da alcune spie e fatto arrestare dai tedeschi che, per avere informazioni sull’organizzazione partigiana, lo portano a Via Tasso e per avere queste informazioni lo torturano. Le torture sono brutte. Noi le vediamo nei film oppure ne leggiamo ma sono brutte, dolorose, fanno ribrezzo, è difficile resistere. Tunetti resiste. Allora viene messo insieme ad altri come lui che possono essere utili per nuove rappresaglie, per nuove Fosse Ardeatine.
La strage viene inspiegabilmente compiuta. I prigionieri sarebbero stati più utili da vivi. Tuttavia la ferocia gratuita si manifesta e si esegue. Insieme a Tunetti furono ammazzati altri tredici tra cui Bruno Buozzi (2).
La storia potrebbe finire qui. Potremmo completarla con molte altre notizie. Il fatto che persone come Saverio Tunetti, nel fior dell’età, abbiano scelto e deciso di lottare per la liberazione del paese dagli oppressori fascisti e nazisti non può essere considerato come il ricordo di un atto di eroismo bensì come intelligenza, come perspicacia nell’intravedere la necessità e la possibilità di un futuro che solo la libertà, la pace e la collaborazione tra i popoli potevano e possono garantire migliore del presente. E tutto questo è serbato a memoria.
Per queste persone che sono morte ammazzate per non aver contraddetto i valori di libertà cui anelavano c’era un bene importante che era la libertà. La vita. E la memoria ci porta a riflettere come il valore della vita fosse l’antagonista principale di quell’esaltazione della morte che portava e porta alle più efferate manifestazioni.
La memoria e il ricordo. Una distinzione tra i significati di queste due parole è necessaria per evitare di cadere nella retorica dei riti e per comprendere quanto la testimonianza di queste lapidi e di questi nomi può farci accrescere l’esperienza e spronarci nell’impegno di una vita migliore per noi stessi e per tutti noi, insieme.
I ricordi sono fallaci. Sono legati a vite vissute i cui ricordi si estinguono anche loro nel tempo.
Il mio ricordo di Saverio Tunetti è legato alla conoscenza che ebbi con Placido, il fratello di Saverio, socialista come me, iscritto alla sezione di Via Tiepolo, qua dietro La confidenza con Placido e il suo accorato ricordo di Saverio, di Nardo, mi spingono ad onorarlo.
Questo ricordo passerà, potrà essere condiviso in futuro, a memoria. La memoria è diversa dal ricordo. La memoria è l’elaborazione concreta e ideale di una esperienza vissuta, seppure in tempi e in contesti diversi, che può e spesso deve essere rivalutata e rielaborata per trarne elementi per l’impegno quotidiano.
La memoria è una proprietà dinamica della mente capace di ricategorizzare tutte le esperienze. La memoria si staglia in un contesto temporale che non ha età. La memoria ha valori che si riflettono in simbologie, in luoghi, in toponomastiche che assumono valore quando chi li frequenta li partecipa, vi ci solidarizza con altri anche senza conoscere l’origine di quei nomi, le indicazioni di quelle targhe o di quelle lapidi.
Ciascuno di noi rielabora informazioni, storie, vecchi racconti, esperienze non vissute ma che gli sono state ripetute. Le sistema, ne fa memoria e ne fa pensiero, sostrato di giudizi, certezza di convinzioni, valori da maturare e da trasmettere.
I luoghi concorrono alla consistenza della memoria. Questi luoghi li ricorderemo non per i nomi, non per la toponomastica ma per un collegamento con valori che riteniamo basilari. Guardiamoci intorno. Qui vicini ci sono il Ponte e il Monumento a Giacomo Matteotti. La lapide a Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo3. Via Fratelli Archibugi4, eroi della Repubblica romana del 1849. Via Gaetano Filangieri5, giurista e filosofo napoletano del ‘700 che ha contribuito alla redazione della Costituzione degli Stati Uniti d’America. Altri, moltissimi, di eguale importanza per vita e per opere. I luoghi, i paesaggi che li compongono, vivono con la nostra partecipazione altrimenti rimangono deserti. Nella memoria ci rimarranno impressi i valori dei sacrifici di tanti che hanno combattuto per la libertà e ce ne hanno tramandato il valore da non cedere.
C’è un’altra considerazione su questa esperienza, su questa costruzione di memoria, legata alla presa di responsabilità che ciascuno di noi assume ed è tenuto ad assumere nella società e per la società con il suo lavoro, con la sua professione, con le sue competenze. Che sia questa il suo intorno civico, la sua famiglia, i suoi figli. Me la fa ricordare l’incitazione di Ulisse richiamata da Dante nel XXVI Canto dell’Inferno, un’incitazione a superare gli ostacoli. A vincere la paura. A comportarsi responsabilmente se si vuole raggiungere una meta:
Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza.
Oggi, nelle celebrazioni del VII centenario della morte di Dante, leggendo nella Commedia dobbiamo ricordarci che le gesta eroiche, i sacrifici che si compiono per realizzarle, sono motivati da grandi aneliti che hanno un valore universale.
Questi aneliti sono tratti da una riflessione su noi stessi. Dalla domanda che sempre dobbiamo porci: qual è la relazione tra noi, tra il nostro corpo, la nostra persona con la società che ci circonda, con le persone che ci sono vicine e che costituiscono il volano, il contrappeso alla nostra esistenza e ai nostri comportamenti: Considerate la vostra semenza.
Le gesta eroiche non sono solo episodi eclatanti. La morte di un singolo appare come un momento della natura. Ma le gesta di quel singolo sono legate all’impegno totale di tutta la sua esistenza e come tale ha valore universale. Un impegno dove ha manifestato una responsabilità che seppure declinata su piccole cose, sulle cose quotidiane e particolari, è comunque segno e fonte di valori universali e con questi si commisura.
Ecco il comportamento quotidiano la responsabilità che mobilita oggi tutti noi. Il periodo che stiamo attraversando ci provoca sgomento e impazienza e sollecita la nostra responsabilità, comportamenti virtuosi, considerazioni attente all’andamento dell’economia che altera i caratteri della società e rende difficili molte capacità produttive e stili di vita.
In questo periodo, auspicando una ripresa sociale ed economica, si fanno sovente riferimenti al dopoguerra, all’Italia distrutta, ai sacrifici del tempo di guerra, alle vite umane perdute. Io non so se questi paragoni sono possibili. Tuttavia la memoria, i valori riferiti a quel periodo possono essere utili anche per resistere, per contrastare un evento universale connesso all’evoluzione del genere umano.
La guerra, l’arroganza della dittatura, l’anelito di libertà convivevano allora ma definivano un contrasto netto tra chi negava e chi voleva la libertà. Allora la libertà aveva il valore della salute oggi. La mancanza di libertà si era insinuata prima con la violenza contro le generazioni coetanee che agirono subito con sacrifici e con la vita il contrasto manifestato contro nazismo e fascismo.
Poi con le nuove generazioni che, ancorché nate sotto la dittatura, ne comprendevano la supremazia innaturale legata non solo alle disfatte belliche ma alle protervie politiche e sociali e alle criminalità razziali e sempre liberticide.
Qui incontriamo epigoni di questa ribellione di cui celebriamo il ricordo e da cui traiamo memoria e indicazioni esemplari. Oggi è il 25 aprile e il 25 aprile del 1945 l’Italia si è liberata dalla dittatura, dall’occupazione nazista e ha visto il futuro. Tunetti, con i martiri de La Storta, non ha visto il 25 aprile ma ha lottato e perito per quello e ci ha lasciato un insegnamento che travalica il suo esempio.
A noi rimane la gioia di una giornata di sole. Di una festa di primavera che ci fa capire, come tante altre date, l’unità d’Italia. Il senso di una vita comune che vogliamo di benessere per noi e per le generazioni future. Con lo stesso entusiasmo e con la stessa speranza, ma anche con grande responsabilità e comportamenti congrui, dobbiamo guardare al futuro per garantire a tutti le varie libertà di espressione che, seppur minime, ci mancano e, in particolare, un lavoro per tutti affinché con questo l’intera società possa crescere e progredire e, nel ricordo solenne dei suoi eroi nelle elaborazioni che la memoria fa della nostra storia, si manifesti nelle forme migliori di convivenza.
Giorgio Panizzi – Vice presidente del Circolo Fratelli Rosselli panizzigiorgio@gmail.com – 338 4937995
FOTO 1940 – Un gruppo di ragazzine di Londra gioca indossando maschere antigas in un parco vicino a delle case temporanee nella costa sud dell’Inghilterra
Note
(1) Saverio Tunetti. Nato a Palermo il 29 novembre 1913, trucidato a La Storta (Roma) il 4 giugno 1944, maestro elementare, tenente. Militante socialista, dopo l’8 settembre 1943, entrò a far parte a Roma (dove era stato mobilitato in Aeronautica), delle Brigate Matteotti. Con l’incarico di responsabile della III Zona, fu attivo sino al 5 maggio 1944, allorché fu arrestato dai nazisti. Rinchiuso nelle celle di via Tasso, Tunetti rifiutò di cedere a minacce e torture e fu così raggruppato dai nazisti con i detenuti che si riservavano di eliminare alla prima rappresaglia a cui sarebbero ricorsi. All’atto di abbandonare Roma, Tunetti fu prelevato dai tedeschi con altri prigionieri (tra i quali Bruno Buozzi) e a La Storta fu abbattuto a raffiche di mitra con i suoi compagni. A Roma, dove gli è stata intitolata una strada, una lapide lo ricorda in via del Vignola 73.
(2) Gabor Adler, volontario ungherese, alias il capitano inglese “John Armstrong”‘, alias “Gabriele Bianchi”, inviato a Roma dagli inglesi in azione di spionaggio
Eugenio Arrighi, tenente (Fronte militare clandestino)
Frejdrik Borian, ingegnere polacco (Brigate Matteotti)
Alfeo Brandimarte, maggiore delle Armi navali (Fronte militare clandestino) – Medaglia d’oro al valor militare
Bruno Buozzi, operaio, dirigente sindacale, già deputato del PSI (Brigate Matteotti)].
Luigi Castellani, impiegato (Brigate Matteotti)
Vincenzo Conversi, ragioniere (Brigate Matteotti)
Libero De Angelis, meccanico (Brigate Matteotti)
Edmondo Di Pillo, ingegnere (Brigate Matteotti) – Medaglia d’oro al valor militare
Pietro Dodi, generale di cavalleria nella riserva (Fronte militare clandestino) – Medaglia d’oro al valor militare
Lino Eramo, avvocato
Alberto Pennacchi, tipografo (Brigate Matteotti)
Enrico Sorrentino, capitano (Fronte militare clandestino)
(3) Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (1901 – 1944) Comandante del Fronte Militare Clandestino, martire alle Fosse Ardeatine e Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
(4) Francesco (Ancona 1828 – Roma, 1849) e Alessandro Archibugi (Ancona, 1829 – Civitavecchia, 1849) patrioti nella difesa della Repubblica Romana. Soprannominati “i Cairoli anconetani”, si arruolarono nel Battaglione universitario romano
(5) Gaetano Filangieri (1753 – 1788) è stato un giurista e filosofo italiano del Regno di Napoli. È ritenuto uno dei massimi giuristi e pensatori italiani del XVIII secolo.