In piazzale Brasile, dove inizia viale del Muro Torto di fronte all’ingresso principale di Villa Borghese, troviamo una porta disadorna, costituita da un semplice arco di travertino, affiancato da torrioni cilindrici del tempo di Onorio. Gli altri 5 archi, oggi aperti alla circolazione automobilistica, sono moderni.
E’ l’antica posterula da dove usciva la via Salaria antica (sul percorso dell’attuale via di Porta Pinciana), interessante per una caratteristica militare. Il generale bizantino Belisario, che la ricostruisce nel … dopo la distruzione ad opera dei Goti, coprendo la struttura in laterizio con un rivestimento di pietra bianca per renderne la trama più robusta agli assalti degli invasori, ha un accorgimento ancora visibile: l’arco d’ingresso, serrato tra due torri, è posto di sbieco rispetto all’asse delle mura, in modo che l’invasore a piedi o a cavallo, scoprisse il fianco coperto dallo scudo, dovendo improvvisamente svoltare per l’entrata. Negli stipiti si notano delle bozze, forse con funzione apotropaica o residui di lavorazione dei blocchi, nella chiave dell’arco sono due croci, una greca all’esterno ed una latina all’interno.
Di fronte alla porta i Propilei delle aquile, uno degli ingressi di Villa Borghese, fiancheggiato da due specie di guardiole a 4 fornici di Antonio Asprucci (1790), sormontate dall’aquila borghesiana, qui trasferite dal Muro Torto.
Sul versante interno del muro, la fronte interna della torre orientale è fasciata in basso dal monumento ai caduti nella prima guerra mondiale del rione Ludovisi. Qui ha inizio via Veneto, o meglio via Vittorio Veneto, divenuta famosa in tutto il mondo grazie al film di Federico Fellini “”La Dolce Vita””.
Il nome del quartiere discende dal nome della nobile famiglia Ludovisi che, un tempo, aveva una villa con un vasto giardino; alla fine del XIX secolo il terreno è costruito e nascono gli edifici che noi oggi vediamo. Alcune testimonianze di Villa Ludovisi possono ancora vedersi lungo il muro in via Campania dove, all’altezza di via Marche, una nicchia ovale alloggia un enorme busto marmoreo, detto di Belisario e di fronte a via Abruzzi dove una fontanella riporta l’iscrizione Fons Ludovisia.
Questo tratto di mura tra Porta Pinciana e Porta Salaria è il più imponente e quello meglio conservato (anche grazie ad un restauro negli anni 1920-1950), ma anche quello che si è rivelato molto debole nei momenti critici. E’ qui, infatti, che entrarono i Goti ed i Visigoti. Presso via Romagna (che si riconosce facilmente da un palazzo assai moderno all’angolo), il lato esterno del muro conserva una curiosa memoria della dura battaglia combattuta nel 1870 dall’esercito italiano che assediava Roma, ancora sotto il dominio del papa: traversando corso d’Italia e guardando verso il centro della seconda torre, noterete facilmente una breccia prodotta da un colpo di cannone. Guardate attentamente: la palla di cannone è ancora lì, bene incastrata nel muro!
Proseguendo per via Campania si può vedere come, sul versante interno, nello spessore del muro è ricavato un doppio camminamento, che permetteva alla guardia di raggiungere le numerose torri. Quello inferiore, coperto ma aperto verso l’interno con grandi arcate che permettevano un facile accesso ai difensori ed ai rifornimenti, quello superiore scoperto è il cammino di ronda.
Le torri 13, 14 e 15 vennero utilizzate dal cardinale Federico Borromeo come “”studiolo, nel 1672. Dalla fine dell’Ottocento al 1932, la torre 15 ospitò il laboratorio del ceramista Francesco Randone, che contribuì attivamente allo studio ed ai restauri delle mura. La torre 16 è un raro esempio di torre dell’epoca di Aureliano, che si discosta dalla tipologia classica: la camera è retta da due volte a botte, senza scala centrale, e la camera superiore non è accessibile; la finestre sono quattro, due sulla fronte ed una su ciascun lato. Seguono una torre restaurata in epoca medioevale e una torre semi circolare. La torre seguente poggia su una tomba appartenente al grande sepolcreto Salario che si estendeva fuori le mura. La torre 22, di epoca aurelianea, è stranamente semicircolare; è l’unica, infatti, a non trovarsi vicino ad una porta, ma forse proteggeva una posterula oggi scomparsa. Segue un tratto di mura rifatto da Giulio III (1550-1555) al posto di due torri cadute.
Alla fine della seconda guerra mondiale, alcune torri furono utilizzate come studi ed abitazione di artisti. Di recente, il Comune di Roma ha fatto sgomberare le residue abitazioni riportando alla luce tutto il camminamento.
DA SISTEMARE
La porta risale al 403 d.C., quando una porta di terzo grado delle Mura Aureliane fu ingrandita dal Magister Militum Stilicone (359 – 408) che, per ordine di Onorio (384 – 423), avviò la grande fase di restauro e rinforzo delle Mura Aureliane alzando i bastioni dai 6-8 mt originari ai 10,50 – 15 che praticamente raddoppiò l’altezza coprendo a volta, e con feritoie per gli arcieri, i camminamenti di Aureliano. Stilicone affiancò e protesse l’unico fornice con due torri semicircolari. Nel 537 Belisario la fece ulteriormente rinforzare. I l generale bizantino copre la struttura in laterizio con un rivestimento di pietra bianca per renderne la trama più robusta agli assalti degli invasori e probabilmente è dovuto a lui un accorgimento particolare: l’arco d’ingresso, serrato tra le due torri, è posto di sbieco rispetto all’asse delle mura, in modo che l’invasore a piedi o a cavallo, scoprisse il fianco coperto dallo scudo, dovendo improvvisamente svoltare per l’entrata. Negli stipiti si notano delle bozze, forse con funzione apotropaica o residui di lavorazione dei blocchi, nella chiave dell’arco sono due croci, una greca all’esterno ed una latina all’interno. La porta conserva ancora l’originale arco in travertino, che era dotato, al piano superiore, di una galleria coperta con una camera di manovra per la movimentazione della saracinesca, e i cardini degli antichi battenti in bronzo. Il toponimo della porta discende dalla “gens Pincia“, proprietaria del colle omonimo che sorge sul lato occidentale della porta. Questa era la “porta Salaria vetus” perché di qui transitava la “via Salaria vetus” (ossia “vecchia”), nata prima della nascita di Roma come “itinerario del sale” e progressivamente sistemata come grande via di comunicazione. Proveniva dalla “porta Fontinalis” delle Mura Serviane, alle pendici del Campidoglio, costeggiava il Quirinale e con un percorso corrispondente alle attuali via Francesco Crispi e via di Porta Pinciana usciva dalla Porta Pinciana, dopodichè si congiungeva, poco oltre la porta, alla “via salaria Nova“, che invece usciva da Porta Collina, per dirigersi poi verso la Valle dell’Aniene e la Sabina. Porta Pinciana venne chiamata anche “porta Turata“, perché più volte murata tra l’VIII ed il XIX secolo, e, dopo che assunse la denominazione Pinciana, per corruzione fu detta anche “Porciana” e “Portiniana”. Il nome di “porta Belisaria” le deriva, invece, dal nome del generale bizantino Flavio Belisario (500-565) che nel 537 qui respinse Vitige(….-542), re degli Ostrogoti, ma che fu anche l’artefice di un restauro delle Mura Aureliane nel VI secolo. Procopio di Cesarea, anzi, dice che proprio fuori Porta Pinciana Belisario fece la sortita decisiva sbaragliando l’esercito Ostrogoto nell’area dell’attuale Villa Borghese. La tradizione, inoltre, vuole che Belisario, vecchio e ridotto in miseria, mendicasse presso la soglia della porta che fu l’epicentro della sua gloria militare: la storia appare del tutto falsa, perché Belisario morì in ricchezza, ma l’origine della leggenda sembra che derivasse da una scritta (che non esiste più) un tempo graffita alla destra della porta, “Date obolum Belisario“. La porta venne murata nel 1808 e riaperta nel 1887. Nel versante interno della porta, su via Vittorio Veneto, è possibile anche notare il monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale del rione Ludovisi. Al fornice in travertino originario sono state affiancate ben cinque aperture due a oriente (verso Porta Salaria) e ben tre a occidente (verso il Muro Torto) delle quali una aldilà della prima torre quadrata verso ovest. Un sesto passaggio, minuscolo e solo pedonale si apre dopo la prima torre orientale. Tutte queste aperture sono state realizzate per agevolare il traffico tra Piazzale Brasile e Via Veneto. Nel 1973 in occasione della grande mostra “Contemporanea” che si tenne negli spazi del Parcheggio del Galoppatoio non ancora utilizzato, Christo e Jeanne-Claude impacchettarono Porta Pinciana con un’opera che era anche, di per sé un manifesto della manifestazione “sotterranea”. Per 40 giorni nei mesi di febbraio e marzo 1974, Porta Pinciana e un tratto lungo 250 metri delle Mura Aureliane fu avvolto con del polipropilene e della corda per ricoprirne integralmente entrambi i lati, la sommità e gli archi. Quaranta operai edili portarono a compimento l’opera temporanea in quattro giorni. Il tratto scelto dagli artisti per la loro opera d’arte temporanea si trova tra l’imbocco di Via Veneto, una delle strade più animate di Roma, e il parco di Villa Borghese. Il progetto fu coordinato da Guido Le Noci, amico di lunga data dell’artista e proprietario della Galleria Apollinaire che aveva ospitato nel 1963 due personali di Christo. Tre dei quattro archi drappeggiati erano percorsi da un intenso traffico automobilistico mentre uno era riservato ai pedoni. Il Wrapped Roman Wall fu finanziato da Christo e Jeanne-Claude con la vendita degli studi preparatori di Christo: disegni, collage, modelli in scala, oltre che da precedenti opere e litografie. Gli artisti non accettarono sponsorizzazioni di alcun genere, come loro solito. Al termine dei 40 giorni la struttura fu smontata e riciclata.
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Porta Pinciana impacchettata da Christo
Storia di Porta Pinciana
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Nei dintorni:
- MAPPA della Zona Pinciano 1 (da via Salaria a via Pinciana)
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