Il Ponte Regina Margherita, o Ponte Margherita come lo chiamano i romani, è un ponte sul Tevere nel Municipio I tra il rione Campo Marzio e il rione Prati, sull’asse piazza del Popolo, via Ferdinando di Savoia e via Cola di Rienzo (Municipio I).
Quando si scende da via del Muro Torto fino al Tevere, si può voltare a destra per lungotevere Arnaldo da Brescia oppure voltare a sinistra e si attraversa il fiume sul ponte intitolato alla Regina Margherita (1851-1926), “bella di viso e grande di cuore”, moglie di Umberto I e prima sovrana d’Italia.
Lungo la sponda sinistra sono attraccati, a valle, i galleggianti del Reale Circolo Canottieri Tevere Remo (lungotevere in Augusta) e, a monte, quelli del Circolo Canottieri Rari Nantes (lungotevere Arnaldo da Brescia), luoghi d’incontro di tanti, tantissimi fiumaroli romani.
Il ponte, iniziato nel 1886 e inaugurato nel 1891, è costituito da tre arcate e realizzato interamente in muratura con rivestimenti in travertino. Misura 103 metri di lunghezza per 21 di larghezza e collega via Ferdinando di Savoia (nel Rione Campo Marzio) con piazza della Libertà (nel rione Prati), in asse con via Cola di Rienzo, la principale arteria di questo rione, l’obelisco di piazza del Popolo e il Pincio.
Quando Ponte Margherita è realizzato siamo al termine di quello sviluppo edilizio che aveva trasformato i Prati di Castello nel rione Prati, anche se in quegli anni mordeva la crisi edilizia e nel nuovo quartiere ci sono scavi aperti e fondazioni abbandonate. Il progetto è della Divisione Idraulica dell’Ufficio Tecnico Municipale, sotto la direzione dell’architetto Angelo Vescovali. I lavori delle fondazioni durano un anno, mentre la sopraelevazione furono impiegati diversi anni.
L’apertura al pubblico del ponte conclude l’attività de “er mejo dei traghettatori”, Toto er Bigio, che portava i romani dalla Passeggiata di Ripetta ai Prati di Castello, dove si poteva godere la cucina romana a buon prezzo e al fresco di una incannucciata o di una vigna. La barca di Toto, piatta sul fondo e con prua e poppa uguali, era assicurata ad una fune tesa fra le due sponde e spinta da una pertica, andava avanti e indietro.
Sulla Strenna dei Romanisti del 1964 si legge: Fin dagli inizi del ‘500 si cercò in corrispondenza dei traghetti di neutralizzare l’effetto della corrente del fiume mediante un canapo teso tra le due rive. Lungo tale canapo scorreva una corda cui era legata la “barchetta” che pertanto compiva un percorso costante, senza deviazioni o spostamenti longitudinali. Il natante era coperto da un tendone per riparare i passeggeri dal sole e dalla pioggia. Il barcaiolo lo muoveva lungo il suo percorso obbligato aiutandosi con il timone o con un lungo remo come i gondolieri veneziani. Più tardi al tendone si sostituì una vera e propria cabina in legno con tetto a duplice spiovente; è questa la “barchetta” che ricorda il Belli nel sonetto “Er diluvio universale” paragonandola all’arca di Noè.
Dai parapetti di Ponte Margherita si sono lanciati spesso persone stanche della vita, per finire nei gorghi del fiume. Si tramanda che il primo suicida fu lo stesso capomastro del cantiere della costruzione del ponte, abbandonato dalla moglie.
Dall’altra parte del Tevere, in piazza della Libertà 20, la Palazzina de’ Salvi progettata nel 1929-1930 da Pietro Aschieri, e una vecchia torretta nei giardinetti, l’ultimo residuo del capolinea della linea tranviaria Roma Civita Castellana, poi sostituita dalla Ferrovia Roma Viterbo. Lì, in un capanno sul fiume, nel gennaio del 1900 è fondata la Società Sportiva Lazio.
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Ponte Margherita di Orfeo Tamburi
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