Il nome Muro Torto che diamo da secoli a questo tratto di mura a monte di Porta del Popolo viene da quel punto, a duecento metri da qui, in cui le mura aureliane costruite sulla parete tufacea del Pincio disegnano un angolo di novanta gradi.
Li il muro di mattoni si inclinò pericolosamente pochi mesi dopo la sua costruzione e fu rinforzato in basso con contrafforti.
Passandoci sotto, questo muro “storto” fa un po’ paura ma possiamo stare tranquilli il muro non crollerà, i romani ne sono sicuri. Il perché risale ai tempi della conquista di Roma da parte dei Visigoti di Alarico, nel 410 e ce la racconta Procopio ne “La guerra gotica”. All’arrivo dal nord dei Visigoti di Alarico, nel 410 d.C., il generale Belisario ordina a i suoi soldati di abbattere quel pezzo di muro storto e ricostruirlo.
Ma c’è un problema. Dove oggi c’è la chiesa di Santa Maria del Popolo, sorgevano le rovine del grande mausoleo dei Domizi, la gens di Nerone (considerato dai cristiani dei primi secoli l’anticristo per via delle sue feroci persecuzioni), e si diceva che qui fosse stato gettato il corpo dell’imperatore dopo il suicidio. Qualcuno raccontava che il suo fantasma continuasse ad aggirarsi insieme a spiriti maligni e addirittura che qui ci fosse il varco verso l’inferno creato dal buon Dio per far sprofondare il suo corpo. Sembra che sulla sua tomba fosse cresciuto un tetro pioppo (in latino populus) sui rami del quale si appollaiavano orribili corvi, ritenuti i demoni che lo tormentavano per i crimini commessi in vita.
I soldati di Belisario quindi ma non voglio andare in quel posto maledetto e lo convincono a lasciar perdere i progetti di sistemazione asserendo che fosse apparso l’apostolo Pietro e che avrebbe promesso loro che avrebbe pensato lui alla custodia di quel luogo.
In effetti, durante l’assedio, nessun gruppo armato nemico giunse lì. I Visigoti entrarono tranquillamente da Porta Salaria, aperta da un traditore, e misero a sacco la città. Da allora nessuno sentì più il bisogno di raddrizzare il Muro Torto e mai nei secoli ci furono assalti alla città in questo tratto maledetto delle mura.
Solo nel 1099 il problema sarà risolto: Papa Pasquale II farà tagliare l’albero ed esorcizzerà il luogo per costruire la chiesa di Santa Maria, subito ribattezzata dai romani Santa Maria del Popolo in ricordo del tetro pioppo. Una legenda vuole che quest’albero, in latino populus, sia l’origine del nome di piazza del Popolo.
Ma questa “bonifica” papale dell’area interna alle mura non estirpa la cattiva fama della zona fuori la porta, sotto la rupe. Verso il Muro Torto, per un millennio, c’è stato il cimitero degli assassini, delle donne di malaffare, dei ladri, dei vagabondi, e di tutti coloro che, non essendosi pentiti prima di morire, non potevano essere sepolti in terra consacrata. I loro spiriti, secondo una leggenda molto diffusa, non potendo andare nell’aldilà, vagavano di notte inquieti e rancorosi, chiamando i disperati che passavano in alto per convincerli a gettarsi di sotto. Al di là delle favole, la rupe del Pincio di notte è sempre stata un posto prediletto dai suicidi e sulle mura in alto ancora oggi si vedono le reti messe per evitare insani gesti. Qui nel 1825 sono sepolti i carbonari Targhini e Montanari, decapitati in piazza del Popolo. Dopo l’esecuzione si diceva che i loro fantasmi passeggiassero di notte da queste parti, con la testa sotto il braccio, dando i numeri che sarebbero usciti dalla ruota del lotto papalino ai coraggiosi che riuscivano a sostenerne lo sguardo senza fuggire a gambe levate.
Fonte del testo: Procopio “La guerra gotica”
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