«Ci si innamora di Roma molto lentamente, un po’ alla volta. Ma per tutta la vita» Nikolaj Gogol.
Un piccolo, insolito itinerario ha impegnato poche ore delle mie passeggiate romane, poche centinaia di metri tra la quiete sotto assedio di Villa Borghese. Mi sono messo sulle tracce della presenza di Nikolaj Gogol’ a Roma, e infine sono andato a cercare il suo monumento nei Campi Elisi cittadini, in mezzo a statue e busti dedicati alle personalità più disparate, accomunate dall’amore per la Capitale o per l’Italia. Il nostro, ad esempio, occupa uno degli angoli del crocicchio intitolato a Paolina Borghese, di fronte all’ingresso della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, assieme allo scrittore peruviano Garcilaso de la Vega, al principe-vescovo montenegrino Petrović Njegoš e al poeta egiziano Ahmed Shawqi.
Gogol’ siede scomodo, in una posa di rara pesantezza, tenendo tra le braccia una maschera che pare della Commedia dell’Arte, o addirittura una maschera di se stesso coronata d’alloro. Nel basamento alcune parole tratte da una lettera all’amico Pletnev: Io posso scrivere della Russia solo stando a Roma. Solo da lì essa mi si erge dinanzi in tutta la sua interezza, in tutta la sua vastità. L’autore del monumento è lo scultore georgiano Zurab Cereteli, ben noto ai moscoviti per molte opere, tra cui l’enorme obelisco di ferro di Park Pobedy e il “chiacchierato” monumento a Pietro il Grande davanti al Park Gor’kij.
«Niccolò Cocoli», come risulta dal registro delle anime della parrocchia di Trinità dei Monti nel 1841, arriva a Roma per la prima volta nel 1837 con l’amico Ivan Zolotarev e prese a pigione due stanze in un palazzo in via San Isidoro, all’angolo con l’attuale via degli Artisti. Nei pressi vivevano già molti russi, tra cui il pittore Orest Kiprenskij, che con molta probabilità aveva suggerito ai due amici questa sistemazione. Oggi la via San Isidoro appare molto diversa da come appariva allora: gran parte di essa è confluita nella costruenda via Veneto, e della vecchia strada rimane solo un breve tratto, occupato quasi interamente dalla scalinata del convento di San Isidoro.
La Roma di quei tempi fu la Mecca di numerosi artisti russi. Poco più avanti, infatti, dopo aver percorso tutta via degli Artisti, svoltiamo a sinistra e subito a destra, e ad angolo con la via Sistina incontriamo il palazzo in cui visse il celebre incisore Fëdor Iordan, che fu il “centro gravitazionale” di tutta la colonia russa della Capitale. Qui senz’altro furono di casa, tra gli altri, oltre a Kiprenskij, pittori come Moller, Brjullov e Ivanov, Fëdor Bruni e Sil’vestr Ščedrin.
Gogol’ era buon amico di molti di loro, e abituale frequentatore dei loro atelier: proprio a Roma Fëdor Moller dipinse forse il ritratto più famoso dello scrittore, e sempre qui Ivanov, al lavoro sulla celebre tela “Apparizione di Cristo al popolo”, dipinse le fattezze dell’amico nei tratti del discepolo più vicino a Cristo. Gogol’ lo ricambiò scrivendo un illuminante articolo su questo capolavoro, conservato oggi alla Galleria Tret’jakov di Mosca.
Imboccando dunque via Sistina, a pochi metri dal Teatro reso noto dagli spettacoli di Garinei e Giovannini, al numero 2 troviamo il semplice palazzo all’interno del quale Gogol’ visse, con alcuni intervalli, tra il 1838 e il 1842, dove compì un’accurata revisione dell’Ispettore generale, dove scrisse una parte consistente delle Anime morte e del racconto Roma. Ricorda il celebre inquilino la semplice lapide, in russo e in italiano, posta nel 1901 dalla comunità russa a Roma: chissà perché, nella parte in italiano si perde il riferimento alle Anime morte.
Un altro luogo legato al capolavoro gogoliano è Palazzo Poli, dove lo scrittore lesse alcuni brani ala presenza della Principessa Zinaida Volkonskaja, cognata del celebre decabrista Sergej Volkoskij. Un’altra famosa lettura di Gogol’, documentata nella corrispondenza di molti dei presenti, avvenne nella villa della Principessa all’Esquilino, uno dei salotti artistici più famosi della Roma papalina. Da qui passarono poeti, pittori, musicisti: Gogol’ amava passeggiarvi, da solo o in compagnia, per godere della quiete dello splendido giardino, che ancora oggi offre la sua bellezza agli ospiti dell’Ambasciatore britannico.
Ma il vero centro di quella vivace vita bohémien fu senz’altro via Condotti, dove a pochi metri uno dall’altro, e a due passi da Via Sistina, si trovavano due dei luoghi di ritrovo più amati da tutta la variopinta, cosmopolita comunità di artisti di Trinità dei Monti, la trattoria «Lepre» e l’Antico Caffé Greco. Se il celebre Caffè Greco, uno dei più antichi d’Europa, ha resistito fino ai giorni nostri, la trattoria, sfortunatamente, non esiste più da lungo tempo: al suo posto, un’istituzione bancaria, nel cui cortile resta uno stemma con l’animale. «Per Lepre sono in tutto cinque minuti», scriveva Gogol’, raffinato gourmand che quando non cucinava per i suoi amici amava gustare nelle tipiche osterie i piatti della tradizione romana.
Con un po’ d’immaginazione si può sentire la vivace, rumorosa ressa dell’osteria: poco prima, invece, ci siamo fermati idealmente al Caffè Greco a bere una tazza del caffè con la panna che tanto piaceva al «Signor Nicola», la cui presenza è testimoniata da un manoscritto incorniciato alle pareti di questo posto, affascinante e senza tempo.
Poco più avanti, a destra, prendiamo la via Mario dei Fiori che ci conduce in via della Croce. Al numero 81 si trova l’ultimo indirizzo romano di Nikolaj Gogol’, che qui visse tra il 1845 e il 1846. Con questa tappa concludiamo la nostra passeggiata tra i luoghi frequentati dal grande scrittore russo, che ebbe per l’Italia e la Città Eterna un amore viscerale e unico: vorrei farvelo sentire con le parole dello stesso «Signor Nicola», traducendo alcune delle dichiarazioni d’amore alla sua “patria dell’anima”:
«Se sapeste con che gioia ho lasciato la Svizzera e son volato (nel caso di Gogol’ è da intendersi in senso puramente metaforico. Ma è ancora più curioso se si pensa che “gogol’” è il nome di un volatile, ndr) in Italia, la mia bella animella! Lei è mia! Nessuno al mondo può togliermela. Io sono nato qui. La Russia, Pietroburgo, la neve, le canaglie, il dipartimento, la cattedra, il teatro – tutto questo l’ho sognato.» Lettera a Žukovskij, 30 Ottobre 1837
«Non mi sono mai sentito così immerso in una tale calma beatitudine. O Roma, Roma! O Italia! Quale mano mi strapperà da qui? Che dire del cielo! Che dire dei giorni! L’estate non è estate, la primavera non è primavera – ma sono migliori che negli altri angoli del mondo. E che dire dell’aria! Bevo, ma non mi ubriaco; guardo, ma non fisso. Nell’anima ho un cielo e un paradiso. […] non sono mai stato così allegro, così soddisfatto della vita. La mia casa è tutta esposta al sole: Strada Felice, n. 126, ultimo piano (in italiano nel testo. «Strada Felice» era il nome di Via Sistina ai tempi di Gogol’, cosa che certo non dev’essere dispiaciuta allo scrittore, ndr).» Lettera a A. Danilevskij, 2 Febbraio 1838
«Quasi con rammarico mi sono separato dall’Italia. Mi è dispiaciuto lasciare Roma anche per un mese. E quando, arrivando al nord Italia, al posto dei cipressi e dei pini romani a forma di cupola ho visto i pioppi, mi è risultato gravoso. I pioppi alti, regolari, che prima avrei senz’altro ammirato, adesso mi sono sembrati ordinari … Ecco quello che penso: chi è stato in Italia non può che dire “addio” alle altre terre. Chi è stato in cielo non vorrà più la terra.» Lettera a V. Balabina, 16 Luglio 1837.
Sebastiano Scavo – Roma, 17 febbraio 2018
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