Romolo e Remo

La leggenda sulla divinazione sulla Nascita di Roma è fin troppo trasparente. Si stavano concludendo le Palilie, le feste che le popolazioni laziali celebravano in onore della dea Pales. Erano feste legate alla pastorizia, alla vita, all’acqua e al fuoco. Le tribù di genti, spesso nomadi, che vivevano di pastorizia e del fiume sentivano la necessità (economica e sociale) di radicarsi nella terra, fondando una città proprio nei pressi del guado, sugli ultimi colli che controllano i traffici sul Tevere.

Romolo e Remo esprimevano e sintetizzavano due progetti molto diversi di città. Perciò consultarono gli uccelli per affidare al volere divino la scelta del progetto della città che doveva essere fondata. Romolo sosteneva un progetto, Remo un l’altro. Partendo dalle rive del Tevere, Romolo pensava ad un insediamento che fosse capace di espandersi verso il Quirinale, nella valle Tiberina, nell’entroterra appenninico. Una città che, facendo affidamento sull’etnia etrusca, guardasse ai popoli vicini, in primo luogo ai Sabini, per stabilire dei patti, per federarsi, per inglobarli. Remo pensava invece ad una città che, partendo dalle rive del Tevere fosse capace di espandersi verso il mare, facendo affidamento soprattutto sui popoli che venivano dalla costa, in particolare gli Etruschi, e che raggiungevano la linea destra del Tevere lungo la dorsale Vigna Clara, Monte Mario, Colle Vaticano, Gianicolo.

La linea retta di osservazione di Romolo (che diventò quella degli antichi sacerdoti) si trovava sull’Aventino, in posizione dominante sul Tevere, presumibilmente dove la chiesa di Santa Sabina. La linea era rivolta a nord-est guardava ai colli Quirinale, Viminale, Esquilino, passando per il Palatino. Si definiva un asse sacro, che prevedeva un insediamento centrale sul Palatino ed una espansione versi i villaggi periferici lungo la via Salaria (a cominciare da Antemnae) e della Nomentana: alleanze e sottomissione. E questa la sintesi di una politica sviluppata in seguito, fino .all’età imperiale e che determinò l’unità urbana già al tempo del mitico re Romolo. È il progetto sintetizzato da Virgilio nell’Eneide: «parcere subiectis et debellare superbos», raggiungere accordi con coloro che si sottomettono e debellare coloro che resistono al potere di Roma.

Il punto di osservazione di Remo, invece, si sarebbe trovato nel Saxum, sull’Aventino minore, dove ora sorge la chiesa di San Saba. L’asse di osservazione guardava verso ovest, in modo praticamente perpendicolare alla spectio di Romolo. Egli avrebbe previsto l’insediamento centrale sull’Aventino maggiore e avrebbe guardato per lo sviluppo futuro il mare, verso il Gianicolo. Romolo ebbe partita vinta. Le città ed i villaggi lungo la via Salaria ebbero subito un ruolo determinante per lo sviluppo di Roma.

E’ nota la leggenda del ratto Ratto delle Sabine. Romolo chiese ai vicini alleanza e matrimoni, ma non riuscendo a ottenere ciò fece ricorso alla forza; durante solenni feste in onore di Nettuno cui erano stati invitati i vicini Sabini e il loro re Tito Tizio, gli ospiti ignari furono aggrediti e cacciati dalla città mentre le donne furono trattenute: i Romani ebbero così le loro spose. La tradizione vuole anche che Romolo e Tito Tazio abbiano governato insieme la città fino alla morte del re sabino. Sempre secondo la leggenda, dopo la misteriosa scomparsa di Romolo (rapito dal dio Marte con un carro di fuoco e portato in cielo) il nuovo re dei Romani divenne il sabino Numa Pompilio, pacifico e religioso. I due popoli che coabitavano su questa rive del Tevere, i romani e i sabini, secondo i progetti di Romolo si fusero.

Fonte: Questa pagina è scritta sulla base di un saggio di Antonio Thiery.

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