Mario Loreti (1898-1968) architetto, ha progettato importanti edifici residenziali, grandi alberghi e complessi religiosi. E’ stato inoltre un raffinato progettista di mobili e arredi.
Il padre era fornitore di mobilio per la Real Casa e questo spiega la passione e l’inclinazione del figlio per l’arredamento. Nel 1925, eredita l’attività del padre e apre un nuovo stabilimento che seguirà personalmente; tanto che negli anni Cinquanta sarà lui stesso a disegnare e produrre una nuova linea di mobili, adeguandosi al design industriale, in pieno sviluppo nel secondo dopoguerra.
Nel 1928, trentenne e ingegnere, si iscrive all’albo degli Architetti e inizia a lavorare nello studio dell’arch. Pietro Aschieri, palesando il suo talento nell’architettura di interni. E’ lui a seguire la sistemazione della storica pasticceria Venchi di Torino, scesa a Roma per l’apertura di una filiale.
L’architetto abita in Corso d’Italia 43 in un edificio che sarà demolito per cedere il posto, del 1972, all’attuale palazzo per uffici, d’angolo con via Tevere. Nel 1929 è ancora legato a un formalismo eclettico, come è evidente negli edifici residenziali in stile baroccheggianti di via Beccaria 84 e di corso Trieste 85 (all’angolo con via Chiana) e l’edificio in viale Gorizia ???,
Nel 1929 Loreti cambia il suo stile e quando, pochi mesi dopo, ha modo di realizzare per la Società Nazionale Ediliza l’intensivo di piazza Bologna 2 (il grande blocco d’angolo fra via Lorenzo il Magnifico e via Michele di Lando) gli accenti della sua progettazione sono sintonizzati sul nuovo linguaggio razionalista che connotata il Ventennio. Nel 1932 si iscriverà al partito nazionale fascista e la sua carriera registra una decisa impennata.
Indulgere alla preziosità dei materiali – marmi soprattutto, ma anche legni pregiati e ferro battuto – che in qualche modo sopperisce esteticamente alla stringata sintesi del progetto, nobilitando l’effetto finale, è la cifra distintiva del palazzetto costruito per la sede romana della Singer in via Alessandro Specchi all’angolo con via del Corso e inaugurato nel 1930. I consensi sono subito lusinghieri, tanto da meritarsi nel 1932 un articolo su “Domus”. Quello che veramente stimola l’ammirazione del recensore, proprio come continua ai nostri giorni, è la scala interna e il portale d’ingresso, perfetta ambientazione Déco, in un palese gap fra interni ed esterni. Il Singer Palace di Mario Loreti, oggi trasformato in un resort di lusso, poteva anche passare inosservato fatta salva la originale tessitura del travertino che riveste la facciata. Si intuisce che Loreti sa maneggiare sapientemente i materiali.
Nei condomini realizzati nel 1932, la palazzina a Corso Trieste 61 e le palazzine ai civici 63 e 65, lo stile compositivo di Loreti si asciuga, si libera dal decorativismo e assume la lineare severità caratteristica dell’edilizia abitativa degli anni Trenta. Il confronto con il suo palazzo che sorge pochi metri più in là, al n. 85, più vecchio di qualche anno, è quanto mai evidente.
La medesima grana di travertino striato del Palazzo Singer la ritroviamo nel rivestimento dell’albergo Atlantico (1934) di via Cavour, a pochi passi dalla Stazione Termini, la cui completa ristrutturazione fu operata da Loreti nel 1936 su richiesta del proprietario, l’albergatore romano Maurizio Bettoja. Ed è Loreti che, contaminando Déco e stile ‘900 con suggestioni delle avanguardie futuriste, trasforma l’hotel nel notevole pezzo di architettura che possiamo ancora vedere.
Lo stesso albergatore gli commissionerà, nel 1938, il progetto del contiguo albergo Mediterraneo su cui Loreti opera una sorta di rivisitazione in chiave razionalista e monumentale della Torre di Mecenate (la torre dalla cui cima, secondo la leggenda, Nerone osservò l’incendio di Roma e della Suburra sottostante, accompagnandosi con la cetra), presente nel genius loci in quanto ubicata nelle vicinanze. L’imprenditore alberghiero romano confidava sulla mole di turisti che sarebbero arrivati a Roma nel 1942 per l’Esposizione Universale. Ma l’esplosione del conflitto manda a monte Esposizione e relative aspettative di fatturato. Tutto dovrà essere rinviato all’Anno Santo del 1950.
Nel 1960 il Mediterraneo si amplierà verso via D’Azeglio (sempre a cura di Loreti) e, lussuoso documento di un’epoca (con gli intarsi lignei di Achille Capizzano, i cristalli di Venini, i mosaici di Franco D’Urso, le lampade di Gustavo Pulitzer Finali), oggi è sottoposto a vincolo architettonico per l’importanza delle atmosfere che vi si respirano. La famiglia Bettoja è ancora a capo della gestione dei due grandi hotel.
Nel 1936 Loreti progetta il complesso religioso di Sant’Orsola in via Livorno, con l’Istituto scolastico e la chiesa. La volumetria austera, la commistione fra estese superfici in travertino e brani in laterizio a vista, insistentemente ritmati a ricorsi orizzontali come una composizione musicale, sembrano essere suggestioni ricevuta da quei tedeschi di cui si era nutrito, in particolare Fahrenkamp.
Sua è il progetto della nuova Filorimessa ATAC del 1937, in via della Lega Lombarda, per il ricovero dei mezzi di trasporto capitolini, di cui oggi, con la realizzazione del complesso la Città del Sole, resta solo il grande portale d’accesso.
La predilezione di Loreti per la contrapposizione, materica e coloristica, degli elementi costitutivi è rintracciabile anche in uno degli interventi minori dell’architetto quando, durante i lavori di ristrutturazione di un negozio a fontana di Trevi, viene alla luce un portico medievale inglobato nella facciata di un palazzetto settecentesco. La soluzione adottata, con eleganza e rispetto per l’antico, è quella di incastonare le colonne di granito riemerse dalla muratura in cui erano affogate, entro una cornice di mattoncini a fare da pilastrino collaborante, sotto l’architrave di marmo. Non per niente Loreti aveva ottenuto la cattedra di disegno alla facoltà di Architettura. E’ infatti possibile dire che, rispetto alle architetture dei colleghi nella Roma fascista di quegli anni, la sua architettura è meno roboante e retorica, più misurata e attenta a evitare trionfalismi.
Alla metà degli anni Trenta, grazie all’adesione al regime, Mario Loreti ottiene una serie di commissioni governative a Varese. Nel 1936 le autorità locali e l’impresa di Daniele Castiglioni che aveva realizzato gli interventi a Varese, lo coinvolgono in due importanti progetti della comunità varesina in campo sociale: la colonia marittima di Cervia Marina e il sanatorio di Sondalo, entrambi iniziati nel 1936. Loreti lascia la propria traccia anche a Mantova dove progetta la sede dell’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale.
Nella seconda metà degli anni Trenta si divide fra Lombardia e Roma e qui, dal 1940, si dedica all’hotel Hassler (in via Sistina, su a Trinità dei Monti), la cui costruzione va avanti proprio durante gli anni del conflitto. Il prestigioso albergo aveva aperto i battenti nel 1893 e porta ancora il nome dell’intraprendente svizzero che lo aveva inaugurato. Nel 1939 Oscar Wirth, anch’egli elvetico, che dell’albergo a Trinità dei Monti era divenuto proprietario, lo aveva demolito quasi del tutto per ampliarlo e ristrutturalo totalmente. Requisito dalle forze alleate anglo-americane, la struttura fu aperta al pubblico nel 1947. L’intervento di Loreti ha rispettato la preesistenza, mantenendone il disegno d’impianto, dandogli una verniciata di modernità con i suoi caratteristici inserti in travertino: modanature, mostre, centine, tondi, cornici marcapiano, in quell’asciutto e riconoscibile disegno compositivo proprio di quel decennio.
Tra i progetti di ville da realizzare nel quartiere dell’EUR che avrebbe dovuto essere il quartiere simbolo dell’Esposizione del 1942 (poi annullata per via della guerra) oltre a quelli più noti si ha notizia anche di due ville ideate da Loreti per Umberto Natali e Giacinto Bosco.
Con il ritorno alla democrazia, quanti erano accusati di essere stati troppo apertamente schierati con il fascismo subirono una sorta di damnatio memoriae e così fu anche per Mario Loreti che professionalmente subisce una battuta di arresto e finisce per essere lasciato ai margini dai circuiti critici dominanti.
Dal 1947 è associato a Mario Marchi (con la riconoscibile collaborazione dell’ing. Nervi) nel progetto a Chianciano dei nuovi edifici termali al parco delle fonti; partecipa anche alla redazione del piano regolatore della città nella provincia senese. Nel 1955 a Roma porta la sua firma il palazzo per uffici in via Sicilia 194, all’angolo con via Piave, una rivisitazione dello stile novecentista incline ad accogliere i suggerimenti del modernismo europeo. In quegli anni, scemato il lavoro, può dedicarsi all’insegnamento universitario. A decorare l’accesso all’edificio c’è un’opera in ceramica di Achille Capizzano.
Una sua opera urbanistica è stata la definizione di piazza monte Grappa.
Mario Loreti muore nella città natale, nel 1968. Proprio in quei giorni gli studenti stavano occupando la facoltà di Architettura a Valle Giulia e scontrandosi con la polizia, inaugurando la constatazione. Con la morte di Loreti finisce un’era e ne comincia un’altra, nella quale molti architetti della sua generazione si sarebbero sentiti inadeguati.
Fonte: https://muromaestro.wordpress.com/2022/03/02/mario-loreti-architetto-e-ingegnere-1898-1968/
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