Mafalda, secondogenita di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena, nasce a Roma nel 1902.
Muti, questo il suo soprannome, trascorre la sua infanzia e la giovinezza in un ambiente familiare, con la mamma, la regina Elena, che organizza giochi e feste e insegna alle sue figlie a cucinare e cucire, e il papà che stava in famiglia, lontano dal Quirinale e dall’etichetta di corte, ogni volta che poteva.
Durante la prima guerra mondiale, Muti e le sorelle seguono la mamma nelle sue frequenti visite ai soldati negli ospedali militari. Gli anni venti poi sono per i giovani Savoia un periodo spensierato, vissuto con la più bella nobiltà europea. Elena e le sue figlie amavano la musica, Vittorio Emanuele no. La principessa conobbe personalmente Puccini, a Torre del Lago nel 1922 e il maestro voleva dedicarle la Turandot, ma non fece a tempo perché morì, lasciando l’opera incompiuta.
I destini matrimoniali dei principi Savoia si vanno delineando: Giovanna diventa zarina di Bulgaria, Umberto conosce Maria José e il 1925 a Racconigi, Mafalda sposa il principe tedesco Filippo d’Assia. Il dono di nozze del re fu una villa, un angolo di villa Savoia verso i Parioli, a cui gli sposi dettero il nome di villa Polissena.
Con la guerra, il nazismo, pur non riconoscendo titoli nobiliari, conferisce un grado nelle SS al principe d’Assia e gli affida vari incarichi.
L’8 settembre del ’43, dopo la firma dell’armistizio con gli alleati, i tedeschi vogliono disarmare le truppe italiane e arrestare tutti i Savoia. Badoglio e il Re fuggono al sud ma Mafalda era a Sofia per assistere la sorella Giovanna il cui marito, re Boris di Bulgaria, era gravemente ammalato. Solo il 12 settembre Mafalda atterra a Chieti per raggiungere la famiglia in fuga, ma è troppo tardi! L’aeroporto è già in mano ai tedeschi che, proprio quel giorno stanno liberando Mussolini al Campo Imperatore. Con mezzi di fortuna riesce a raggiungere Roma dove rivede i figli, affidati in Vaticano da un certo monsignor Montini (futuro Papa Paolo VI).
Il giorno dopo è chiamata al comando tedesco per l’arrivo di una telefonata del marito dalla Germania. E’ un tranello: al suo arrivo è arrestata è messa su un aereo, la sua prima destinazione è Monaco, poi Berlino infine viene internata nel lager di Buchenwald, dove è rinchiusa nella baracca n. 15 sotto falso nome. Per andare al comando tedesco a Roma, si era vestita con un semplice vestito nero, pensando che si trattasse di un impegno di pochi minuti. Con quello fu arrestata, ed è molto probabile che quel vestitino nero l’abbia accompagnata per tutta la terribile esperienza del lager, fino alla morte.
A Buchenwald Mafalda è sistemata in una baracca ai margini dei campo destinata a prigionieri “di riguardo”. Il regime è, comunque, durissimo: vitto insufficiente, freddo invernale intenso (e vestiti estivi), divieto di rivelare la propria identità. La principessa è cagionevole e deperisce rapidamente. Mangia pochissimo e, quando poteva, fa in modo che quel poco che le arriva in più sia distribuito a chi ha bisogno. Malgrado gli accorgimenti dei nazisti, la notizia che la figlia del Re si trova nel campo si diffonde fra i prigionieri italiani. Alcuni cercano di aiutarla. Dalle testimonianze risulta che un medico italiano lì rinchiuso sia riuscito a prestarle soccorso.
Nell’agosto del ’44 gli anglo-americani bombardano il lager. La baracca in cui la principessa era prigioniera è distrutta. Gli occupanti si sono rifugiati nella trincea vicino alla baracca ma ciò non fu sufficiente. Mafalda ha il braccio sinistro maciullato. E’ ricoverata nell’edificio adibito a casa di tolleranza dei soldati tedeschi del campo ed è soccorsa dalle prostitute; ma la principessa peggiora, insorge la cancrena e dopo quattro giorni di tormenti è operata. Ancora addormentata, Mafalda viene riportata nel postribolo e qui lasciata senza ulteriori cure. La mattina è morta dissanguata senza aver ripreso conoscenza. Il suo corpo viene gettato sul mucchio dei morti sotto il bombardamento, per essere cremato. Il prete boemo del campo, ottiene, dopo molti sforzi, che il corpo venga sottratto alla cremazione e seppellito in una fossa senza nome contrassegnata dal numero 262.
Dopo alcuni mesi, a guerra finita, un gruppo di marinai di Gaeta, ex-prigionieri a Buchenwald, identificano la tomba e i resti di Mafalda sono consegnati alla famiglia. Ma in Italia non tornò mai: la principessa Mafalda di Savoia riposa da allora nel piccolo cimitero degli Assia nel castello di Kronberg vicino Francoforte.
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