Signorine di Tor di Quinto è un breve racconto tratto da “Isole. Guida vagabonda di Roma” di Marco Lodoli che parla delle prostitute che lavorano lungo viale di Tor di Quinto.
Avevamo quattordici anni, baffetti pelosi, malinconie che arrivavano a tradimento e motorini ancora nuovi, e sul far della sera talvolta l’inquietudine ci faceva squartierare: fuggendo dalle stradine raggomitolate attorno a Corso Trieste, imboccavamo l’Olimpica che pareva un’autostrada dove le macchine sfrecciavano verso l’ignoto, infiniti chilometri di buio punteggiati dai lampioni e dalle insegne dei benzinai. Prima del tunnel piegavamo a destra, verso la perdizione, verso l’inferno. In fondo alla discesa cominciava Tor di Quinto: già il nome metteva brividi nella schiena e nei pensieri, andava pronunciato rapidamente, come fosse il nome di una strada qualsiasi, dove c’era il campo d’allenamento della Lazio, ecco, nient’altro.
In realtà noi arrivavamo fin laggiù per vedere con gli occhi lucidi di febbre le sacerdotesse del peccato, le oscene e strepitose vestali del sesso, le innominabili puttane. Non erano simili in nulla alle mercenarie di oggi, povere ragazzine slave, biondine magre e sottili che fanno stringere il cuore: no, quelle erano immense e sguaiate, ridevano e urlavano attorno a fuochi che parevano salire dal centro della terra, fiamme scomposte che promettevano godimenti terreni e punizioni divine. Le donne passeggiavano tra l’oscurità e il rosso di quell’incendio continuamente riattizzato, indossavano assurdi abiti da sera, cantavano canzoni popolari, erano bellissime e spaventose.
Oggi che il mercato del sesso si è spostato altrove, che ha altre protagoniste, rituali piu frettolosi e crudeli, Tor di Quinto è diventato un’anonima via di scorrimento Eppure due o tre prostitute continuano a lavorare sotto quei platani: sono così vecchie e malandate che fanno tenerezza. Una è sempre circondata da grossi cani bastardi, pare continui a battere solo per sfamare quei bestioni; un’ altra sembra una professoressa in pensione, ha una dentiera bianchissima e i capelli biondi a caschetto, zoppica avanti e indietro come un’ anima in pena. Hanno speso tutta la loro vita per concedere qualche attimo di felicità a uomini soli. Ci vorrebbe una legge Bacchelli anche per loro, una piccola pensione che finalmente le faccia riposare.
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