Numerose opere di arte moderna sono presenti nel Parco di scultura di Villa Glori realizzato nell’ambito del progetto Varcare la soglia.
Iniziamo dalle opere presenti nell’area delle Casa Famiglia di Villa Glori.
Appena entrati da cancello in fondo al viale dei Settanta, vediamo un maestoso portale in cemento rivestito in peperino grigio e rosa, alto più di cinque metri e collocato all’imbocco di un lungo viale alberato. Si tratta di una scultura che allude all’architettura dei templi classici, dal sapore vagamente metafisico, realizzata da Giuseppe Uncini nel 2000. Giuseppe Uncini, nato a Fabriano nel 1929 (e morto a Trevi nel 2008,) è stato uno scultore e pittore italiano, celebre per le sue opere in ferro e cemento.)
DA FARE LOCALIZZANDO LE OPERE
Paolo Canevari: “Uomoerba” (2000), un’opera realizzata scavando nel terreno una sagoma di tufo lunga ben diciotto metri, poi riempita di terra coltivata a prato, che sembra emergere dal terreno del parco. Un’antiscultura legata sia alle esperienze dei maestri inglesi e americani della Land Art degli anni Sessanta sia alle memorie dei giardini all’italiana delle ville rinascimentali e barocche, dove le piante venivano tagliate in modo tale da assumere le sembianze di uomini ed animali. Più in profondità la sagoma rappresenta un uomo di erba legato alla terra da cui proviene e alla quale ritornerà. Paolo Canevari (Roma 1963) vive e lavora a New York; è uno degli artisti della sua generazione famosi a livello internazionale, noto per l’utilizzo di differenti materiali e media, quali animazione, disegno, video, scultura e installazioni. L’artista presenta simboli o luoghi comuni facilmente riconoscibili, al fine di commentare concetti quali la religione, i miti urbani della felicità o i grandi principi alla base della creazione e della distruzione.
Nunzio: “Quieta Inquietudine” (1997) in cui l’artista rompe gli artifici retorici della storia dell’arte, illustrativi o decorativi che siano, per dare forma materiale alle zone oscure della nostra mente e per svelare il vuoto su cui si staglia l’esistenza a cui solo l’arte può dare un senso. L’opera a Villa Glori sembra mettere in relazione la quiete “nella” terra con l’inquietudine della vita “sopra” la terra. Nunzio Di Stefano (Cagnano Amiterno – AQ,1954). si è dedicato a indagare le possibilità espressive e formali della materia e le sue interrelazioni con lo spazio e la luce attraverso opere spesso cariche di significati metaforici. È tra gli artisti che stabiliscono il proprio studio nell’ex pastificio Cerere, nel quartiere romano di San Lorenzo, che diventa un centro vitale della cultura artistica cittadina e internazionale. Insieme a D. Bianchi, B. Ceccobelli, G. Dessì, G. Gallo e P. Pizzi Cannella dà vita alla Scuola di San Lorenzo. In questi anni realizza forme irregolari in gesso ed opere in legno e in lamine colate di piombo organizzate in forme regolari. Ha ottenuto significativi riconoscimenti, dal premio Duemila per i giovani della Biennale di Venezia del 1987 alla Menzione d’onore della stessa Biennale del 1995. Dopo la prima personale a Bolzano (Galleria Spatia, 1981) e le collettive dei primi anni Ottanta con i cosiddetti artisti del quartiere San Lorenzo di Roma, presso le gallerie La Salita e soprattutto l’Attico, ha continuato a esporre in importanti mostre sia in Italia sia all’estero. Nel 2005 il MACRO gli ha dedicato una grande antologica. E’ membro dal 2008 dell’Accademia Nazionale di San Luca.
Pino Castagna : “Monadi” (1997), un’opera che traduce con grande capacità di comunicazione un impulso “tettonico”, nel quale il “monolite” esplode. Lo spettatore può interagire con l’opera, che offre uno spazio interno attraversabile, misurabile, permettendo di ricevere dell’opera diverse visuali e anche un inquietante sensazione che deriva dall’innaturale equilibrio di queste strutture di ferro e cemento. L’opera rappresenta i ritmi naturali e i flussi dell’umana esperienza. Pino Castagna (Castelgomberto VI, 1932) è un artista in cui libertà creativa e conoscenza tecnica si accordano ad un naturale “far grande”, come attestano i Canneti, esposti anche a Tokyo nel 1977 presso la storica galleria Wako, gli interventi sui grandi tronchi di Iroko del 1976 o i Muri in acciaio cor-ten e cemento, realizzati nel 1980, ma concepiti nel 1961, quando fu eretto il muro di Berlino. Le più importanti mostre dell’artista hanno trovato la loro sede en plein air nei centri storici di Monaco (1971), Imola e Verona (1975), Lucca (1976), Rimini (1979), Bardolino (1982), Trento e Mantova (1985), Venezia (Biennale del 1986), Montignoso (1991), Bolzano (1992), Carrara (Biennale Internazionale di Scultura nel 1996 e 1998), Pergine Valsugana (2001), Marina di Massa e Agliè (2004). L’autentica aspirazione architettonica e ambientale della scultura di Castagna si rivela da oltre un decennio negli interventi in scala urbana ed extraurbana, realizzati in Italia e all’estero. Tra questi ricordiamo Cascade a Lione (1991-1992), la Chiesa all’aperto di Zermeghedo (1994), Monadi di Parco Scultura di Villa Glori a Roma (1997), Cespo veneziano a Castellòn de La Plana in Spagna (2002). Ha realizzato il maestoso Muro in marmo bianco innalzato sul lido del mare di Massa.
Mauro Staccioli: “Grandi Ruote”, un’opera che, non solo dinamizza lo spazio, ma lo sovvertono, ne rompono gli schemi. Lo spettatore è stimolato a muoversi, a cambiare continuamente visuale, a interagire con l’opera, e tende quindi a rompere inconsciamente ed inavvertitamente tutti quegli automatismi fisici che caratterizzano il movimento quotidiano e ” normale”. Forse è questo il varco che Staccioli ha aperto a Villa Glori: una soglia di comunicazione, di interazione diretta con lo spettatore, un’apertura nuova e immediata tra scultura e uomo. Mauro Staccioli (Volterra, 1937) nel 1960 si trasferisce in Sardegna dove intraprende l’attività di insegnamento nella provincia di Cagliari e fonda, insieme a giovani artisti e intellettuali sardi, il Gruppo di Iniziativa. Nel 1963 si sposta prima a Lodi e successivamente a Milano. Gli inizi della sua attività artistica sono saldamente intrecciati all’esperienza didattica e a quella di intellettuale e politico militante. Dopo un primo periodo in cui sperimenta la pittura e l’incisione, dalla fine degli anni sessanta si dedica alla scultura, elaborando le sue forme in stretto dialogo con la società e lo spazio urbano. Il suo percorso di ricerca lo indirizza verso una “scultura-segno” che si pone in stretta correlazione con il luogo per il quale e nel quale è realizzata. Fin dai primi anni settanta, pioniere, sceglie l’ambiente urbano e sposta l’asse di intervento dell’artista cercando, con la scultura, di rispondere alle istanze della società tutta. La sua scelta linguistica si caratterizza per la coerenza, l’essenzialità delle forme e la perfetta adesione agli ambienti per i quali realizza le sue “sculture-intervento”. Staccioli procede in un modo assolutamente rigoroso, studiando gli ambienti, la storia e le caratteristiche dei luoghi nei quali è chiamato a realizzare un’opera. Con il suo lavoro “segna” il luogo, esplicitandone la sua più intima natura e nello stesso tempo modificando la consueta percezione di coloro che si trovano ad attraversarlo. Profondo e proficuo è il legame dell’artista con il Belgio, dove è chiamato a realizzare un intervento al Parc Tournay Solvay di Bruxelles per la Fondation Européenne pour la Sculpture (1996) e dove eseguirà numerosi interventi in spazi sia pubblici che privati, tra cui l’ormai celebre Equilibrio sospeso al Rond Point de l’Europe a Bruxelles (1998). Nello stesso decennio la Corea si fa promotrice di diversi interventi pubblici tra cui l’opera per il Contemporary Art Museum di Kwacheon (1990). Staccioli è membro associato dell’Académie Royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique e Accademico Nazionale dell’Accademia di San Luca.
Eliseo Mattiacci: “Ordine Cosmico” – 1997 – L’opera sembra segnare il passo conclusivo di quella corrente della fine degli anni ottanta, che si sviluppava intorno ad una personale concezione cosmogonica, rappresentata da gigantesche geometrie astrali. L’opera è la sinesi di un’energia quasi primordiale, quale quella del Mattiacci, e della sua perfezione formale, del suo rigore minimalista, del suo ordine estetico. Mattiacci tenta di riassumere uno spirito neoumanista, tenta di esprimere un rapporto delicato e precario come quello tra tecne e armonia. E così pone con dolcezza il suo “ordine cosmico” sul prato di Villa Glori. Eliseo Mattiacci (Cagli, 13 novembre 1940) esponente dell’Arte povera, fin dagli esordi si è interessato alla sperimentazione di nuovi materiali e tecniche e, influenzato dall’action painting e dal new dada, ha ideato opere, installazioni e performances che accentuano il progredire dell’azione creativa, più che l’aspetto formale (a cominciare dal Tubo, lungo 150 m e modificabile in relazione ai diversi contesti espositivi, 1967, o quando l’artista, nel 1971, espose sé stesso con braccia e mani ingessate). In seguito ha spesso utilizzato spazi aperti per le sue installazioni: Torre dei filosofi, nella campagna di Monteluro (Pesaro, 1985); Riflesso cosmico, sulla pista di pattinaggio di Cervinia (1992); Le vie del cielo, nell’alveo del fiume Bidente (Forlì, 1994); Riflesso dell’ordine cosmico, nel porto di Pesaro (1996); l’insieme delle opere monumentali esposte nei Mercati di Traiano a Roma (2001). Nel 2005 ha realizzato l’opera Occhio del cielo nel parco della UCLA (Los Angeles), mentre nel 2006 ha partecipato con l’installazione permanente Danza di astri e stelle a un progetto, promosso dal comune di Reggio Emilia, che ha coinvolto diversi artisti. Nel 2013 ha esposto alla Fondazione Pescheria di Pesaro, da lui stesso inaugurata nel 1996, due grandi installazioni dedicate alla città, riunite nella mostra Dinamica verticale.
Jannis Kounellis: “Il bosco delle apparizioni” – 1997 – Installazione luminosa composta da cento lampade appese a mezz’aria tra i tronchi degli alberi. Il boschetto si presenta al di fuori di ogni dimensione, per questo si presta “all’apparizione”. Kounellis ha reso l’area impenetrabile, con la sua trama di fili, e l’ha quindi sacralizzata, mediante l’inaccessibilità del luogo. L’artista quindi ha trasportato nel bosco una dimensione mitologica e ne ha fatto la rappresentazione naturale del mondo. La trama di fili allontana dalla vista le chiome dei pini, che filtrano la luce a tal punto da segnare con chiarezza la separazione dal cielo, che è anche “metaforicamente lontano”. Questo, secondo Kounellis è il mondo: un mondo in cui la conoscenza non arriva dall’alto, da un cielo metafisicamente lontano, né dal centro, che è il nostro presente frantumato e contraddittorio, ma arriva dal basso, dalla terra, che è la soglia del mondo, il varco verso le nostre origini più intime e profonde. annis Kounellis (Pireo, 1936) è un pittore e scultore greco, esponente di primo piano di quella che il critico Germano Celant ha definito “arte povera”. Ventenne, lascia la Grecia e si trasferisce a Roma per studiare presso l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Toti Scialoja al quale deve l’influenza dell’espressionismo astratto che insieme all’arte informale costituisce il binomio fondamentale dal quale prende le mosse il suo percorso creativo. Nel 2009 la Galleria Fumagalli e il Museo Adriano Bernareggi (Bergamo) dedicano rispettivamente all’artista una personale e un’unica installazione realizzata site specific. L’artista realizza uno speciale allestimento di opere proponendo una riflessione sull’arte e sull’uomo, testimonianza delle riflessioni poetiche da sempre al centro del suo lavoro e per le quali è stato indicato come possibile ospite alla Biennale di Venezia 2011 del primo padiglione della Città del Vaticano. Nel 2012,inoltre,una sua famosa opera è esposta al museo d’arte contemporanea Riso nella città di Palermo.
Maria Dompé: Meditazione – Temenos (1997), intervento, come tutti gli altr di Maria Dompè, nato per il luogo, la Casa-famiglia di Villa Glori che accoglie persone malate di AIDS, come uno spazio di meditazione per gli ospiti della casa e per i visitatori. Il terreno pianeggiante è stato scavato nella forma di un tronco di piramide rovesciato; sulle pareti scoscese dello scavo nove grandi blocchi di travertino, scelti con cura con le loro imperfezioni e le loro cavità scure, sono come incastonati fra le pietre più piccole; l’ulivo centenario, piantato in basso nel quadrato centrale, volutamente richiama gli ulivi del parco di Villa Glori: è l’esterno della villa che continua all’interno del recinto, come in un gioco di contenitori. Se la distesa di travertino appare come una marea di pietra, montante o calante, ma sempre in movimento con i suoi blocchi legati l’uno all’altro come in una catena, l’albero rappresenta il momento più forte di meditazione, il luogo da cui ripartire per una rinascita spirituale dopo la discesa nell’io. L’intervento richiesto allo spettatore è tutto spirituale, è una dimensione interiore che concede un mezzo per andare oltre nel percorso meditativo. Maria Dompé, tra gli artisti che hanno lavorato a Villa Glori, è quella che meno ha svolto una funzione di spettatrice dell’ambiente in cui ha agito, infatti, tracciando il suo Temenos, recinto invalicabile usato nell’antichità per tracciare i confini di una città, ha fisicamente scavato metri e metri cubi di terra verso l’interno. Come tutte le sue opere anche il Temenos è carica di quella forza e quella rabbia contro le ingiustizie civili, verso le quali Maria Dompé è sempre stata particolarmente sensibile; non a caso, infatti, il progetto “Varcare la soglia” nasce proprio da una sua intuizione. Tutta la sua produzione ha sempre avuto un forte scopo evocativo che sfrutta, come la tragedia greca, la forza catartica che si produce rivivendo un fatto. La catarsi in Maria Dompé è verso il suo intimo, la sua interiorità, è una discesa verso se stessa, compiuta scavando fisicamente nella terra, che rimane il simbolo della nostra vita più intima e primordiale. Maria Dompè è nata a Fermo il 4 marzo 1959, dopo il liceo artistico, si è diplomata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1982. “Interventi nello spazio”, così definisce Maria Dompè le trasformazioni dell’ambiente dove l’opera nasce per il luogo e con il luogo prescelto. Una sintonia tra il sito e la sua storia, in una sorta di intimo colloquio con l’artista. http://www.mariadompe.com/biografia/
Maurizio Mochetti: Arco Laser (1997) che si erge sul prato di fianco alla casa famiglia della Caritas, con la sua forma fina ma allo stesso tempo robusta e ferma nello spazio. Un raggio laser segue l’arco, tracciando però una completa circonferenza ed è quindi visibile solamente per metà. E’ la luce che disegna l’arco e non viceversa, ed è la coscienza dell’uomo che fa di un oggetto robotico un’opera d’arte. L’opera dovrebbe provocare nello spettatore una sensazione di ansia e di spaesamento, in quanto l’uomo non riesce a vedere il laser quando si nasconde sotto terra, lasciando libera l’immaginazione umana, le sue fantasie e le sue paure. In questo senso l’opera svolge un compito di fruizione sociale, ponendo tutti gli uomini uguali come simili spettatori, simili di fronte alle proprie paure. La soglia aperta dal Mocchetti è tracciata con un forte estetismo formale, e segna con chiarezza il limite tra caos e cosmo. Maurizio Mochetti nasce nel 1940 a Roma dove vive e lavora. A partire dal 1962 (con l’opera sfera trasparente con proiezioni di luce), l’interesse di Mochetti è orientato verso la luce intesa nella sua fisicità, come materia, senza alcun significato simbolico o mistico, ma non solo: macchine, aerei, armi e geometrie, costellano il suo immaginario d’artista. Nel 1968 esordisce sul palcoscenico artistico romano con la sua prima esposizione personale a Roma, all’ormai storica Galleria La Salita: espone 10 progetti e due realizzazioni. Per l’artista, infatti, “l’opera d’arte é l’idea, il progetto”, mentre “la tecnologia è uno strumento che mi consente di realizzare opere sempre più vicine all’idea: in questo senso l’opera d’arte é perfettibile”. Maurizio Mochetti, tra i maggiori rappresentanti dell’avanguardia italiana a partire dagli anni ’60, dedica la sua ricerca alle possibilità dello spazio inteso come realtà virtuale, contestuale agli ambiti architettonici di intervento. Così, dalla sua prima partecipazione alla mostra collettiva “Arte dell’era spaziale” tenuta alla Galleria L’Obelisco di Roma nel 1967, come nella Sala personale alla Biennale di Venezia nel 1970 e come ancora per la più recente installazione degli spazi del MAXXI di Roma progettati dall’architetto Zaha Hadid, in piena sintonia relazionale dell’opera con l’architettura.
Nino Caruso: Portale mediterraneo” (1997) opera posta dall’artista in una dimensione tautologica, da cui traduce una forza profondamente contemporanea. L’opera segna l’invalicabile distacco che si è creato tra il presente e l’antichità, che non permette all’uomo di acquistare la vera coscienza di quel mondo, ma d’altra parte è il simbolo di un’eternità che l’uomo ricerca e che solo l’antichità può offrirgli. Per questo Nino Caruso attinge direttamente dalle regole formali classiche, compiendo un lavoro mentale prima che manuale: il suo varco è nella storia, nel tempo; è il segno di un’eterna separazione, ma è l’unico passaggio e simbolo di un’eternità continua, che lega il nostro presente al passato. Nino Caruso (Tripoli, 1928). Nelle sue sculture, realizzate in diversi materiali, specialmente ceramici, motivi costanti sono la ricerca di un nuovo rapporto scultura-architettura (Monumento alla resistenza di Pesaro, 1965) e lo studio di strutture modulari che possono assumere una precisa funzionalità architettonica (bassorilievo continuo in ceramica nella chiesa evangelica di Savona, 1969; stazione della metropolitana di Marsiglia, 1974; ospedale di Tokyo, 1984; stazione ferroviaria di Gigon, 1992) o costituirsi come ipotesi strutturali aperte. Caruso ha dato particolare rilievo alla ceramica, per la quale ha anche fondato un Centro internazionale a Roma (1965). Nelle ricerche degli ultimi anni, Caruso torna a pensare a pannelli che si integrino all’architettura e a sculture dal carattere enigmatico, memori di antiche civiltà mediterranee. Oltre a collocarsi in musei, collezioni pubbliche e private, le sue sculture caratterizzano l’arredo urbano di numerose città. Parigi (Galerie Les Champs, 1968), Shigaraki (Il vento e le stelle, 1991), Brufa (Portale Mediterraneo, 1994), Torgiano (Fonte di Giano, 1996, Fonte delle vaselle, 2002), Coimbra (Rotonda, 2002). Cura eventi rivolti alla ceramica contemporanea, tra cui: Ceramic art exhibition (1994, 1996, 1998), Cottaterra (1998) e Vaselle d’Autore, rassegna annuale che si svolge dal 1995 a Torgiano, città che nel 2004 gli conferisce la cittadinanza onoraria. Recentemente concluso l’incarico di direttore artistico dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, l’artista prosegue la propria ricerca presso gli studi di Todi e Roma. http://www.ninocaruso.it/italiano/biografia.shtml
Fabio Mauri: “La piscina della rimembranza” (1997) (opera non più presente) Un’ambiente rettangolare, diviso in due campate, in marmo raffinato, accoglieva una vasca ad U. La sala era destinata ai bambini malati di tubercolosi, che venivano a Villa Glori a curarsi. La sala è caratterizzata da una finitezza dei particolari, da una cura nell’esecuzione. L’architettura è austera, ma dalle proporzioni volutamente infantili, visto il fine pratico che la sala aveva. Le foto adagiate nelle vasche evocano mille presenze e, sostituendone l’acqua, ne assumono la proprietà purificatrice, catartica, che agisce non solo sul dolore odierno, ma anche su quello passato, dei bambini malati di tubercolosi, o ancora più generalmente di quei cristiani che secondo il rito antico si liberavano dei loro peccati nell’acqua, o ancora dal dolore provocato dai fascisti che in piscine di quel tipo si riunivano. “La soglia da varcare diventa allora quella che separa ciò che non c’è (forma, ordine, bellezza, armonia) da ciò che per sua natura tende a questo: l’opera d’arte.” Fabio Mauri (Roma, 1926-2009) è stato un artista, scrittore e drammaturgo italiano. Uno dei maestri dell’avanguardia italiana del secondo dopoguerra. Vive tra Bologna e Milano fino al ‘57, poi si trasferisce a Roma. Nel 1942 fonda con Pier Paolo Pasolini la rivista Il Setaccio. Ha insegnato per 20 anni Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.
Franco Purini: O Bet ò tre (1997) L’opera si trova all’interno dell’Auditorium della Casa Famiglia e consiste in una tripla trabeazione in cemento armato che forma un angolo sostenuto da una trave a sbalzo. Il titolo “o bet o tre” suggerisce un “bluff” del gioco del Poker che in sostanza è un rilancio sul rilancio, una scommessa molto azzardata, estremamente rischiosa come rischiosa è la condizione di chi si trova all’interno della Casa Famiglia per malati terminali di AIDS. Quasi tutte le opere versano in un grave stato di abbandono e necessiterebbero di interventi di recupero e di restauro. Franco Purini, (Isola del Liri, 9 novembre 1941), è un architetto, saggista e docente universitario, Ha studiato architettura a Roma con Ludovico Quaroni laureandosi nel 1971 e frequentando assiduamente gli ambienti degli artisti Franco Libertucci, Achille Perilli e Lorenzo Taiuti. Dopo un primo periodo di lavoro con Maurizio Sacripanti e Vittorio Gregotti, dal 1969, principalmente presso le università di Firenze e di Cosenza, Purini ha partecipato al laboratorio di progettazione “Belice ’80” e, dopo un breve periodo di insegnamento a Reggio Calabria e a Roma, è diventato docente presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Dal 2003 insegna presso la Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma. Per i meriti conseguiti nell’ambito della sua attività professionale e teorica, è stato eletto Accademico Corrispondente dall’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Data al 1966 l’inizio di una lunga collaborazione a Roma con la moglie Laura Thermes, con cui parteciperà sia alla Biennale di Venezia che alla Triennale di Milano. Nel 1980 è infatti uno degli architetti chiamati da Paolo Portoghesi alla Biennale di Venezia per partecipare all’installazione “Strada Novissima”, che diverrà manifesto dell’Architettura postmoderna. I suoi progetti sono densi di linee, rimandi, campiture, e le sue strutture riecheggiano di razionalismo e tradizione classica, con chiare citazioni di Maurizio Sacripanti e Giovan Battista Piranesi, che rimandano a suggestioni di carattere metafisico
Altre pagine correlate:
Pagine Roma2pass relative allo stessa tipologia di soggetto
Pagine Roma2pass nella stessa zona
Pagine Roma2pass relative allo stesso periodo
Pagine Roma2pass relative alla stessa materia
Pagina al livello superiore:
Pagine allo stesso livello: